18 Febbraio 1984

18 Febbraio

Viene firmato l’accordo di villa Madama, il nuovo concordato tra Italia e Santa Sede tra l’allora presidente del consiglio Bettino Craxi e il cardinale segretario di stato Agostino Casaroli.

L’Accordo consta di quattordici articoli che affermano e tutelano:
ART 1 – L’Indipendenza e la Sovranità dei due Ordinamenti, Stato e Chiesa in linea con il dettato Costituzionale.
ART 2 – Le garanzie in ordine alla missione salvifica, educativa e evangelica della Chiesa Cattolica.
ART 3 – Le garanzie in merito alla libera organizzazione ecclesiastica in Italia.
ART 4 – Immunità e Privilegi per figure ecclesiastiche.
ART 5 – Gli Edifici di Culto che non possono essere requisiti, occupati, espropriati, demoliti o violati da forza pubblica se non per casi di “urgente necessità”.
ART 6 – Le festività Religiose.
ART 7 – Le nuove discipline degli Enti Ecclesiastici.
ART 8 – Gli effetti civili del vincolo matrimoniale celebrato in forma canonica.
ART 9 – L’istituzione di scuole e la parificazione delle stesse alle Scuole Pubbliche.
ART 10 – La Parificazione delle qualifiche e dei Diplomi ottenuti nelle scuole Ecclesiastiche.
ART 11 – L’Assistenza Spirituale.
ART 12 – Il Patrimonio Artistico e Religioso.
ART 13 – La Volontà in merito al Valore Giuridico del Nuovo Accordo.
ART 14 – In caso di difficoltà interpretative o applicative, l’art 14 impone ai due contraenti di risolvere in maniera amichevole tali divergenze tramite un’apposita Commissione paritetica.

18 Febbraio 1975

18 Febbraio 1975

Renato Curcio viene fatto evadere dal carcere di Casale Monferrato da Mara Cagol.

Renato Curcio era rinchiuso in quel carcere da circa tre mesi, nel vecchio stabile di Via Leardi, all’angolo con Via Piave. Il commando che lo libera è composto da tre uomini e una donna, Margherita “Mara” Cagol, la moglie di Curcio. Entrano con il mitra spianato, con la scusa della consegna di un pacco, mentre Curcio era in attesa in corridoio.

Curcio era stato arrestato a Pinerolo l’8 Settembre del 1974, grazie a un infiltrato dei carabinieri, l’ambiguo “Frate Mitra” ex frate guerrigliero sudamericano, assieme al compagno Alberto Franceschini.

da La Stampa del 19 Febbraio 1975:

Ore 16,13: due auto, una «124» giallina e un’altra blu, forse una «128» o una vettura straniera, si fermano nei pressi del carcere. Scendono una donna sui trent’anni, carina, bionda, volto affilato, statura media, e un uomo, volto anonimo, baffi folti. La giovane suona. La feritoia viene aperta e al piantone, Pompeo Carelli, mostra un fagotto. È giorno di visita, tutto sembra normale. «Devo consegnare questo pacco ad un detenuto. Mi apra». Sorride, è tranquilla. La guardia chiude lo spioncino, apre il portone. Però nel momento in cui la feritoia viene sbarrata, la donna estrae da sotto il cappotto un mitra dal calcio mozzo. La guardia si trova la canna dell’arma puntata allo stomaco: «Stai buono o sei un uomo morto». Nello stesso istante alle sue spalle arrivano tre uomini. Due indossano tute blu e portano una scala «all’italiana» di alluminio. Montano i due elementi della scala, poi li appoggiano al muro di cinta, all’interno a sinistra del portone; salgono, e ad un’altezza di circa tre metri tranciano i fili del telefono. Intanto la giovane e il compagno costringono l’agente a chiamare il maresciallo Barbato, che si trova oltre il secondo cancello, proprio nel cuore del carcere. Si muovono nervosamente, ma appaiono decisi, attenti. Al sottufficiale intimano di aprire e per persuaderlo battono la canna del mitra contro la schiena dell’ostaggio. Aperta la strada, si trovano direttamente nel corridoio lungo il quale si affacciano alcune celle del pianterreno. «Non muovetevi o facciamo una strage», minacciano facendo mettere faccia al muro il piantone, il maresciallo, gli appuntati Baricelli e Rossi. «Dov’è Renato?» grida la donna. Le risponde Curcio, tranquillo. Un ultimo dialogo: «Sei il dottore?» chiedono i brigatisti rivolti al maresciallo. «No, sono il comandante». «Bene, state buoni e non muovetevi». Se ne vanno, il pacco rimane nel carcere, si attende l’artificiere per aprirlo, e si scoprirà che conteneva della cartaccia. Scatta l’allarme. Ricerche tempestive e inutili. Posti di blocco vengono istituiti, una cintura di uomini armati è stesa intorno alla città. Una 124 rubata ad Alessandria viene trovata, poco dopo, alla periferia, in Via Buozzi. Potrebbe essere una delle auto usate dal nucleo armato. Al carcere accorrono il questore di Alessandria, dottor De Stasio, il comandante del gruppo carabinieri, colonnello Musti, il capo del nucleo antiterrorismo per il Piemonte, dottor Criscuolo, il capitano Seno del nucleo speciale dei carabinieri. Il telefono squilla alle 16:50 nella stanza numero 11, al quarto piano dell’ufficio istruzione di Torino. Al dott. Caselli un ufficiale dei carabinieri del nucleo speciale comunica: «È fuggito Curcio, c’è stato un assalto al carcere di Casale Monferrato». Il magistrato accoglie con calma la notizia. Dice soltanto: «Abbiamo lavorato tanto, dovremo ricominciare tutto da capo».