20 Gennaio 1973

Amílcar Cabral muore assassinato a Conakry da alcuni membri del suo partito, verosimilmente manipolati dalle autorità portoghesi.

È stato il fondatore del Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde (PAIGC), che porterà la Guinea-Bissau e le isole di Capo Verde all’indipendenza dal Portogallo.

Studia agronomia a Lisbona, e nel 1952 torna in Guinea-Bissau come agronomo, volendo contribuire a migliorare la condizione del suo popolo e a mettere fine alla dominazione coloniale portoghese.

Nel 1956 fonda, con Luís Cabral (suo fratellastro e futuro presidente della repubblica di Guinea-Bissau), con Aristides Pereira (futuro presidente della repubblica di Capo Verde), con Abílio Duarte (futuro ministro e presidente dell’Assemblea nazionale di Capo Verde) il PAIGC, organizzazione a quel tempo clandestina. Il PAIGC si batte contro l’esercito portoghese su parecchi fronti partendo dai paesi vicini, specialmente dalla Guinea e dal Casamance, provincia del Senegal. Riesce un po’ per volta a controllare il sud del paese e a mettere in atto delle nuove strutture politico-amministrative nelle zone liberate.

Amílcar Cabral muore assassinato il 20 gennaio 1973 a Conakry, solamente sei mesi prima dell’indipendenza della Guinea-Bissau. I suoi assassini sono dei membri del suo partito, verosimilmente manipolati dalle autorità portoghesi e sorretti dalle complicità dei più alti livelli dello stato della Guinea.

Cabral non ha visto mai l’indipendenza della Guinea-Bissau (10 settembre 1973) e di Capo Verde (5 luglio 1975), causa per la quale ha combattuto per più di venti anni.


20 Gennaio 1893

20 Gennaio 1893

A Caltavuturo, Palermo, vengono massacrati i contadini dei fasci siciliani in rivolta.

I fasci siciliani, detti anche fasci siciliani dei lavoratori, a dispetto del nome sono stati un movimento di massa di ispirazione libertaria, democratica e socialista spontaneista sviluppatosi in Sicilia dal 1891 al 1894 e diffusosi fra proletariato urbano, braccianti agricoli, minatori e operai.

Verrà disperso solo dopo un duro intervento militare durante il governo Crispi, avallato dal re Umberto I.

Sull’esempio dei fasci operai nati nell’Italia centro-settentrionale, il movimento era un tentativo di riscatto delle classi meno abbienti e, inizialmente, era formato dal proletariato urbano, a cui si aggiunsero braccianti agricoli, “zolfatai” (minatori nelle miniere di zolfo), lavoratori della marineria e operai che protestavano sia contro la proprietà terriera siciliana, sia contro lo Stato che appoggiava apertamente la classe benestante. La società in Sicilia era all’epoca molto arretrata, il feudalesimo, sebbene abolito (dagli stessi aristocratici illuminati) agli inizi del XIX secolo, aveva condizionato la distribuzione delle terre e quindi delle ricchezze.

Grande e importante caratteristica del movimento era quella di riservare alla donna un ruolo preminente.

L’unità d’Italia, d’altro canto, non aveva portato i benefici sociali sperati e il malcontento covava fra i ceti più umili. Il movimento chiedeva fondamentalmente delle riforme, soprattutto in campo fiscale, e una più avanzata normativa nell’ambito agrario, che permettesse una revisione dei patti agrari (abolizione delle gabelle) e la redistribuzione delle terre.

In questo contesto di agitazioni a Caltavuturo è il 20 Gennaio. Un gruppo molto variegato composto da contadini, intellettuali e minatori stava tornando da un’occupazione di un terreno appartenente al demanio comunale, che l’amministrazione del sindaco Giuffré aveva promesso loro da tempo senza però mai venire assegnato.

Stanno per raggiungere la piazza del paese, ma si trovano il cammino sbarrato da carabinieri e soldati dell’esercito, inviate da Francesco Crispi per reprimere i Fasci Siciliani. Ad aiutarli e a guidarli alcuni campieri mafiosi, ingaggiati dai nobili e dai ricchi possidenti terrieri. Comincia una fitta sassaiola, alla quale l’apparato repressivo reagisce aprendo il fuoco sui circa 500 manifestanti. 13 persone restano prive di vita sulla strada.

La folla si disperde sulle colline che circondano il paese. Arriva anche una compagnia di fanteria da Palermo, che scatena una vera e propria caccia all’uomo, arrestando molti dei contadini scampati alla strage.

I cadaveri dei manifestanti verranno abbandonati per quasi due giorni sul selciato come monito, impedendo ai familiari di dare loro sepoltura.