30 giugno 2011

30 Giugno 2011

A Milano Michele Ferrulli, 51 anni, muore di arresto cardiaco mentre quattro agenti di polizia lo stanno ammanettando a terra.

Michele Ferrulli è stato arrestato con l’accusa di disturbo alla quiete pubblica e oltraggio a pubblico ufficiale.

Non ha un atteggiamento violento mentre lo ammanettano, ma prima ha insultato i poliziotti; Michele Ferrulli, manovale, aiuta gli abusivi che occupano le case popolari per il diritto alla casa.

Muore di infarto mentre 4 uomini lo schiacciano a terra e lo picchiano.

Nessuno di loro verrà condannato a nulla.

L’ennesimo omicidio di Stato senza colpevole. Nessuno è Stato, non è Stato nessuno.

“Se sei sbronzo come Ferrulli, in strada sfidi la sorte”

Fronte Unico
Omicidi di Stato


30 giugno 1960

30 Giugno 1960

Rivolta antifascista a Genova.

Con questo termine si indicano gli scontri che seguono il corteo indetto dalla Camera del Lavoro di Genova e appoggiato dall’opposizione del PCI e del PSI per protestare contro la convocazione a Genova, che era stata Medaglia d’oro della Resistenza, del sesto congresso del MSI (Movimento Sociale Italiano).

Alla manifestazione parteciperanno gli operai iscritti alla CGIL, la UIL si opporrà alla manifestazione e la CISL lascerà libertà ai proprio iscritti di partecipare o meno.

All’inizio la manifestazione si svolge senza incidenti, anche se l’atmosfera non è delle più serene; parte da Piazza dell’Annunziata, prosegue per Via Cairoli, via Garibaldi, via XXV Aprile, piazza De Ferrari, via XX Settembre (dove vengono deposti fiori sotto il Ponte Monumentale dove sorge il Sacrario dei Caduti) per concludere in Piazza della Vittoria, con il comizio del Segretario della Camera del Lavoro.

Una volta finita la manifestazione alcuni partecipanti risalgono verso Piazza De Ferrari, fermandosi lungo la strada a fischiare i Carabinieri davanti al Teatro Margherita e a cantare gli Inni della Resistenza davanti al Sacrario dei Caduti.

Una volta giunti in Piazza, dove stazionano alcuni mezzi della polizia, la situazione peggiora velocemente. Alle provocazioni dei manifestanti (che non sono molotov o sassi ma canti della Resistenza e cori contro le forze dell’ordine) la polizia cerca di disperdere la folla con gli idranti; poi caricano alcune volte i manifestanti intorno alla fontana.

Comincia così lo scontro vero e propri. Continuano ad affluire manifestanti, che nel frattempo si sono procurati spranghe, badili e attrezzi dai cantieri edili dei dintorni, con cui colpiscono le camionette e le jeep che stanno caricando i manifestanti in piazza e gli agenti che riescono a mettere a terra.

Dagli idranti e dai lacrimogeni la polizia passa alle armi da fuoco (anche se verrà ferita soltanto una persona), alcune camionette vengono incendiate (lasciando segni ancora visibili sui mosaici del porticato della piazza).
Nonostante la violenza, alcuni esponenti delle forze dell’ordine rimasti isolati (come il capo della celere, finito nella vasca della fontana) vengono portati fuori dagli scontri dagli stessi manifestanti.

La rivolta si estende anche ai caruggi, dove la polizia viene colpita dalle finestre con vasi e pietre per difendere i manifestanti in fuga. A quel punto gli organizzatori della manifestazione hanno paura, temono che la polizia possa sparare sulla folla, causando decine di morti.

Il presidente dell’ANPI, Giorgio Gimelli, si accorda con ex partigiani e un funzionario di polizia per cercare di fermare gli scontri, con l’assicurazione da parte della polizia di ritirarsi senza arrestare nessuno.

La “rivolta” termina con 162 feriti tra le “forze dell’ordine” e 40 tra i manifestanti.

Sandro Pertini sulla vicenda dirà:

“È Genova che ha riaffermato come i valori della Resistenza costituiscano un patrimonio sacro, inalienabile della Nazione intera e che chiunque osasse calpestarli si troverebbe contro tutti gli uomini liberi, pronti a ristabilire l’antica unità al di sopra di ogni differenza ideologica e di ogni contrasto politico.”

E ancora:

“Dinanzi a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri morti, riaffermando i valori della Resistenza.
Questi valori, che resteranno finché durerà in Italia una Repubblica democratica sono: la libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e rafforza la libertà, l’amore di Patria, che non conosce le follie imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell’amore di Patria che ispira la solidarietà per le Patrie altrui.”

Quasi un peccato non averne ancora, di persone così.


30 gennaio 1944

30 Giugno 1944

l partigiano bresciano Francesco Troletti muore a Sonico, ucciso dai militi della GNR.

Nel territorio di Sonico, nel settembre 1943, si costituisce uno dei primi gruppi di resistenza armata al nazi-fascismo in Valle Camonica.

Alla fine del giugno 1944 c’è un rastrellamento durante il quale venne arrestato dai fascisti il partigiano Francesco Troletti.

I militi della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) lo fanno camminare fino in Val Malga dove nelle vicinanze della località Casadecla, il 30 giugno, viene trovato il corpo straziato.

La salma fu trasportata nella sottostante chiesetta di San Gottardo al Faet dove alcune donne la ricompongono. Tra loro si prodiga la giovane diciottenne Pina (Brigida) Pasquini che, incurante dei fascisti che ancora circolano, compone il cadavere di Troletti che, il giorno successivo, viene caricato su un carretto e portato nel cimitero di Rino dove è ancora sepolto.