28 Maggio 1974

Alle 10:12, a Brescia, esplode la bomba di Piazza della Loggia.

Una bomba nascosta in un cestino portarifiuti viene fatta esplodere nella centrale Piazza della Loggia a Brescia, mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista con la presenza del sindacalista della CISL Franco Castrezzati, dell’on. del PCI Adelio Terraroli e del segretario della camera del lavoro di Brescia Gianni Panella.

L’attentato provoca la morte di otto persone e il ferimento di altre centodue.

Le vittime saranno:

  • Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni, insegnante di francese;
  • Livia Bottardi in Milani, 32 anni, insegnante di lettere alle medie;
  • Alberto Trebeschi, 37 anni, insegnante di fisica;
  • Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni, insegnante;
  • Euplo Natali, 69 anni, pensionato, ex partigiano;
  • Luigi Pinto, 25 anni, insegnante;
  • Bartolomeo Talenti, 56 anni, operaio;
  • Vittorio Zambarda, 60 anni, operaio.

La prima istruttoria della magistratura porta alla condanna nel 1979 di alcuni esponenti dell’estrema destra bresciana. Uno di essi, Ermanno Buzzi, in carcere in attesa d’appello, viene strangolato il 13 aprile 1981 dai neofascisti Pierluigi Concutelli e Mario Tuti. Nel giudizio di secondo grado, nel 1982, le condanne del giudizio di primo grado verranno commutate in assoluzioni, le quali a loro volta verranno confermate nel 1985 dalla Corte di Cassazione.

Un secondo filone di indagine, sorto nel 1984 a seguito delle rivelazioni di alcuni pentiti, mette sotto accusa altri rappresentanti della destra eversiva e si protrae fino alla fine degli anni ottanta; gli imputati verranno assolti in primo grado nel 1987, per insufficienza di prove, e prosciolti in appello nel 1989 con formula piena. La Cassazione, qualche mese dopo, confermerà l’esito processuale di secondo grado.

Nel corso dei vari procedimenti giudiziari relativi alla strage si è costantemente fatta largo l’ipotesi del coinvolgimento di rami dei servizi segreti e di apparati dello Stato nella vicenda, basata su una lunga serie di inquietanti circostanze: il vicequestore Aniello Damare meno di due ore dopo la strage, ordinerà ad una squadra di pompieri di ripulire frettolosamente con le autopompe il luogo dell’esplosione spazzando via indizi, reperti e tracce di esplosivo prima che alcun magistrato o perito potesse effettuare alcun sopralluogo o rilievo; l’insieme dei reperti prelevati in ospedale dai corpi dei feriti e dei cadaveri, anch’essi di fondamentale importanza ai fini dell’indagine, scompare; una recente perizia antropologica ordinata dalla Procura di Brescia su una fotografia di quel giorno comprova la presenza sul luogo della strage di Maurizio Tramonte, militante di Ordine Nuovo e collaboratore del SID.

Dopo 3 istruttorie e 33 anni, il 14 aprile 2012 la Corte d’Assise d’Appello conferma l’assoluzione per tutti gli imputati, condannando le parti civili al rimborso delle spese processuali, indicando però la responsabilità di tre ordinovisti ormai defunti, Carlo Digilio, Ermanno Buzzi e Marcello Soffiati.

Il 21 febbraio 2014 la Corte di Cassazione annulla le assoluzioni di Maggi e Tramonte e conferma quelle di Zorzi e Delfino. Viene così istruito un nuovo processo d’appello contro Tramonte e Maggi.

Il 20 giugno 2017 la Corte di Cassazione conferma in via definitiva la condanna all’ergastolo inflitta a Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Dopo la condanna Tramonte ha cercato rifugio in Portogallo, ma è stato estradato in Italia. Maggi, ottantaduenne e da sempre in precarie condizioni di salute a causa di una neuropatia congenita, che negli ultimi decenni lo costringe sulla sedia a rotelle, non viene arrestato e rimane in detenzione domiciliare fino alla sua morte, nel 2018.

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