8 Settembre 1974

Renato Curcio e Alberto Franceschini delle Brigate Rosse vengono arrestati a Pinerolo.

Renato Curcio e Alberto Franceschini erano due dei fondatori e membri del comitato esecutivo delle Brigate Rosse insieme a Mario Moretti e Pietro Morlacchi.

Le Brigate Rosse sono in un brutto periodo, perché a Padova alcuni brigatisti hanno ucciso due fascisti del Movimento Sociale Italiano; Curcio e il direttivo delle BR se ne sono prendono la responsabilità, ma dal punto di vista politico sanno che non è una buona cosa. Dirà Curcio:

L’azione non aveva niente a che vedere con ciò che le BR stavano facendo. Non vedevamo nei fascisti un reale pericolo. Mi preoccupai moltissimo. C’era il rischio di stravolgere l’immagine delle BR, riducendola a quella di un gruppo di scalmanati che davano ordine di andare ad ammazzare la gente nelle sedi missine.

Proprio per questo cercano qualcuno in grado di cominciare ad addestrarli militarmente. Hanno le armi, ma gli manca l’organizzazione militare e qualcuno che gli insegni a sparare. A questo punto compare Silvano Girotto, detto “Frate Mitra”, un fantomatico frate guerrigliero che aveva combattuto in Cile nella sinistra rivoluzionaria contro il generale Pinochet.

Curcio e Franceschini credono che il momento della lotta armata sia alle porte e credono anche di aver trovato il loro addestratore militare. E invece hanno trovato la spia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Si incontrano due volte con Frate Mitra, per verificare che la persona sia quella che cercano.

Al terzo incontro, la mattina dell’8 Settembre 1974, mentre stanno andando da Girotto-Frate Mitra, fermi ad un passaggio a livello sulla loro FIAT 128 a Pinerolo in provincia di Torino, vengono arrestati dal Nucleo Speciale Antiterrorismo dei Carabinieri del generale Dalla Chiesa. Mario Moretti, che a sentire Girotto era stato imbeccato sul fatto che l’incontro fosse una trappola, non si presenta.

Curcio evaderà dal carcere nel Febbraio 1975 grazie ad un’azione della sua ragazza Margherita Cagol e a un commando delle Brigate Rosse.


8 Settembre 1944

Il generale e capo del governo Pietro Badoglio annuncia ai microfoni dell’EIAR l’entrata in vigore dell’armistizio con gli Alleati, firmato a Cassabile in Sicilia il 3 Settembre.

Nonostante si parli sempre dell’8 Settembre come del giorno dell'”Armistizio”, questa data rappresenta soltanto il momento in cui tale armistizio viene comunicato alla popolazione italiana.

Dopo la sigla dell’armistizio di Cassibile, Badoglio riunisce il governo solo per annunciare che le trattative per la resa sono “iniziate”. Gli Alleati, da parte loro, fanno pressioni sullo stesso Badoglio affinché renda pubblico il passaggio di campo dell’Italia, ma il maresciallo tergiversa.

La risposta degli anglo-americani è drammatica: gli aerei alleati scaricano bombe sulle città della penisola. Nei giorni dal 5 al 7 settembre i bombardamenti sono intensi: oltre 130 aerei B-17 attaccarono Civitavecchia e Viterbo. Il 6 è la volta di Napoli.

Perdurando l’incertezza da parte italiana, gli Alleati decidono di annunciare autonomamente l’avvenuto armistizio: mercoledì 8 settembre, alle 17:30 (le 18:30 in Italia), il generale Dwight Eisenhower legge il proclama ai microfoni di Radio Algeri. Poco più di un’ora dopo, Badoglio è costretto a fare il suo annuncio da Roma.

Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.

La richiesta è stata accolta.

Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.

Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.

Il comunicato di Badoglio non è per nulla chiaro; non si capiscono i termini dell’armistizio, e la fuga dalla capitale di tutti i vertici militari e del Re Vittorio Emanuele III prima a Pescara e poi a Brindisi mandano in totale confusione le forze armate italiane.

Molti credono che la guerra sia finita, e dai vertici dell’esercito non arriva alcun ordine; alcuni abbandonano le divise e tornano a casa, ma la grande maggioranza, circa 815 000 soldati, viene catturata dall’esercito tedesco e internata nei campi di concentramento nelle settimane immediatamente successive all’armistizio.

L’esercito tedesco infatti apprende dell’armistizio solo dal comunicato radio di Eisenhower: mette subito in atto l’Operazione Achse (Asse), l’occupazione militare di tutta la penisola italiana.

Solo una piccola parte delle forze armate rimane fedele al re Vittorio Emanuele III, come la Divisione Acqui sull’isola di Cefalonia, che viene annientata; una parte si da alla macchia, dando vita alle prime formazioni partigiane, come la Brigata Maiella; altri reparti ancora, soprattutto al nord, come la Xª Flottiglia MAS e la MVSN, scelgono di rimanere fedeli al vecchio alleato e al fascismo. Nonostante il proclama di Badoglio, gli alleati impediscono una massiccia e immediata scarcerazione dei prigionieri di guerra italiani.

Ai militari sbandatisi dopo l’8 settembre che si ripresentarono a fine guerra ai rispettivi comandi, per sistemare la propria carriera interrotta e anche recuperare gli arretrati di paga, verrà richiesto di compilare un questionario di ben 97 domande, atto a definirne la posizione disciplinare e amministrativa.

Molti partigiani verranno incarcerati come disertori.