carlo giuliani

“Carlo è a Genova/ ha in mano un estintore/ dicono per uccidere/ ma lo Stato ha inquinato le prove/ chi crede in un mondo migliore/ prende le botte anche dalla forestale/ un estintore e un proiettile in volto/ il colpevole ha un nome/ ma non deve andare a processo/ il colpevole ha un nome, cazzo/ ma non deve andare a processo”

(Roma, 14 Marzo 1978 – Genova, 20 Luglio 2001)

Durante il G8 di Genova, il 20 Luglio 2001 si tiene il corteo dei Disobbedienti. Su Via Tolemaide la polizia e un contingente di Carabinieri caricano senza motivo il corteo. Da questa azione nascono una serie di disordini e scontri in tutte le vie laterali di Via Tolemaide. A seguito di una carica abortita in via Caffa (l’unica che caricò lateralmente il corteo) da parte dei carabinieri della compagnia CCIR “Echo” – 12° btg carabinieri “Sicilia”, in Piazza Alimonda, durante la frettolosa ritirata dei circa 70 militari presenti, una Land Rover Defender con tre carabinieri a bordo (l’autista Filippo Cavataio, Mario Placanica e Dario Raffone), facendo manovra per seguire la ritirata degli uomini rimane apparentemente bloccata contro un grosso cassonetto per rifiuti. L’autista sosterrà poi che sarebbe rimasto bloccato a causa di una manovra errata di un altro veicolo Land Rover Defender che seguiva la carica delle forze dell’ordine.

Sulla credibilità di tale dichiarazione getta un’ombra una serie di fotografie a disposizione della magistratura dai giorni successivi al 20 luglio 2001, la cui diffusione è stata resa possibile solo successivamente all’archiviazione del procedimento aperto nei confronti del carabiniere Mario Placanica. Da queste fotografie emerge con chiarezza come il cassonetto fosse utilizzato come schermo protettivo da almeno un carabiniere: questa circostanza renderebbe credibile che il carabiniere Filippo Cavataio non abbia tentato di spostare il contenitore per evitare di travolgere il collega.

La posizione dei due Defender e il loro ruolo operativo in quella situazione sono stati messi fortemente in discussione dallo stesso capitano Cappello, che durante il processo spiega come sia improponibile in linea generale farsi scortare da mezzi non blindati in operazioni di ordine pubblico. In particolare Cappello specifica di non aver avuto percezione della presenza dei mezzi in quella posizione, e dichiara di non aver dato nessuna disposizione sui due Defender specificando che dal suo punto di vista sarebbe stato un suicidio disporli a seguito del contingente. Solo che poi lo si vede in un video che scende da uno dei Defender appena prima della carica laterale.

Il veicolo rimane così fermo per alcuni secondi durante i quali viene preso d’assalto da alcuni dei manifestanti che stavano inseguendo le forze dell’ordine in ritirata verso la parte bassa di via Caffa e piazza Tommaseo, dove vi era il raggruppamento dei carabinieri e delle forze di polizia. Tra questi, Carlo Giuliani, con il volto coperto da un passamontagna, che raccoglie e solleva un estintore, già precedentemente scagliato contro il mezzo da un altro manifestante e poi caduto a terra, manifestando l’intenzione di lanciarlo a propria volta contro il veicolo dei carabinieri.

Dall’interno del veicolo un carabiniere – identificato come Mario Placanica secondo le sue stesse dichiarazioni – dopo aver estratto e puntato la pistola verso i manifestanti intimandogli di andarsene, spara due colpi. Un colpo raggiunge allo zigomo sinistro Carlo Giuliani che morirà nei minuti successivi. Il fuoristrada, nel tentativo di fuggire rapidamente dai manifestanti, riprende la manovra passando sul corpo del ragazzo due volte (una prima in retromarcia, la seconda a marcia avanti). Sono le 17:27 del 20 luglio 2001. Tutta la sequenza è registrata nei filmati degli operatori presenti sul posto.

È chiaro che a quell’ora il corpo di Giuliani, con tutti i suoi effetti personali, era già nelle mani delle autorità e che quindi molto presumibilmente era già stato identificato. Alcuni membri del personale medico del pronto soccorso dell’ospedale Galliera testimoniano che il corpo di Carlo Giuliani giungerà verso le 20:00/20:30, cioè qualche ora dopo aver lasciato piazza Alimonda: un lasso di tempo incompatibile con la distanza fra piazza Alimonda e l’ospedale Galliera. I tre carabinieri feriti, inoltre, arriveranno al Galliera solo un’ora dopo aver lasciato la stessa piazza.

Le prime notizie di stampa comunicano che un sasso lanciato dai manifestanti avrebbe ucciso un ragazzo spagnolo e questa informazione si diffonde rapidamente. Dalle immagini relative a quei momenti si evidenzia l’apparizione di un sasso a fianco della testa di Giuliani, che nelle immagini immediatamente successive all’arrivo delle forze dell’ordine sul luogo del delitto non c’era. La tesi del sasso lanciato durante gli scontri come causa della morte di Giuliani verrà sostenuta nell’immediato da uno dei responsabili delle forze dell’ordine successivamente arrivati sul posto dalla vicina via Caffa, il vicequestore Adriano Lauro, che urlando accusa un dimostrante che si stava avvicinando all’area:

“Bastardo! Lo hai ucciso tu, lo hai ucciso! Bastardo! Tu l’hai ucciso, col tuo sasso, pezzo di merda! Col tuo sasso l’hai ucciso!”

La notizia che voleva le forze dell’ordine estranee alla morte del giovane viene smentita già verso le 21. La famiglia di Giuliani viene avvertita dell’accaduto solo dopo che in televisione cominciarono a circolare le foto dell’agenzia stampa Reuters, che smentiscono le prime notizie diffuse circa la morte di un manifestante spagnolo e mostrano com’è morto esattamente Carlo. Ciò avviene tra le 22:30 e le 23:00.

All’ospedale Galliera non viene richiesta una perizia di parte sull’autopsia. L’unica autopsia effettuata è quella disposta dalla magistratura. Cinque giorni più tardi, nonostante tutte le anomalie che quest’ultima presenta e nonostante l’inchiesta di omicidio appena avviata, il giudice dà l’autorizzazione a procedere per la cremazione. Il corpo di Carlo Giuliani, secondo il volere della famiglia, è stato cremato e tumulato nel Cimitero di Staglieno. Nel 2009 le sue ceneri sono state disperse a Boccadasse.

La conferma della morte in alcuni minuti dell’autopsia confuta le prime tesi sulla morte che i periti, negli esami del giorno successivo al decesso di Giuliani, volevano immediata dopo il colpo di pistola.

Nei mesi successivi alla morte di Carlo Giuliani molte sono state le ricostruzioni sull’accaduto. In particolare alcune di queste pongono l’accento sulle ferite riportate da Giuliani di cui si parla nell’autopsia, in particolare sulla ferita lacero contusa frontale che non trova spiegazioni ufficiali. Le foto della polizia scientifica evidenziano chiaramente la ferita e nel contempo l’integrità del passamontagna all’altezza della fronte. Il Comitato Piazza Carlo Giuliani (ONLUS, composta anche dai genitori della vittima e che si occupa dei fatti di Genova e della morte di Giuliani, svolgendo indagini indipendenti da quelle ufficiali sui fatti) avanza l’ipotesi della manipolazione effettuata da membri delle forze dell’ordine per avvalorare la tesi del sasso come arma del delitto, eseguita con lo spostamento del sasso sporcato di sangue vicino al viso di Giuliani e i colpi violentemente inferti alla fronte dopo avergli spostato il passamontagna (con probabilità utilizzando lo stesso sasso posizionato artificiosamente vicino al cadavere come corpo contundente). Questa tesi è stata ribadita da Giuliano Giuliani, padre di Carlo, durante l’intervista concessa a “Blu notte – Misteri italiani” del 9 settembre 2007. Sempre secondo il Comitato Piazza Carlo Giuliani, questa delicata operazione giustificherebbe sia il nervosismo delle stesse forze dell’ordine (che secondo alcune immagini e le dichiarazioni del fotografo francese Bruno Abile, presente in loco, avrebbe portato alcuni agenti di PS e carabinieri a confrontarsi fisicamente) e il pestaggio di Eligio Paoni, il fotografo che fece le prime fotografie ravvicinate al corpo di Giuliani (che andarono perdute con la distruzione delle macchine fotografiche).

Nell’agosto del 2009, i giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza pronunciata sul caso hanno stigmatizzato la decisione della procura di autorizzare la cremazione il 23 luglio, prima di conoscere i risultati dell’autopsia, soprattutto in considerazione del fatto che la procura stessa ha giudicato superficiale il rapporto autoptico. La Corte ha inoltre espresso biasimo per l’intervallo di tre sole ore concesso ai familiari di Giuliani tra la notifica dell’autopsia e l’esame stesso, cosa che secondo i giudici di Strasburgo ha verosimilmente impedito ai genitori di incaricare un proprio consulente.

Il procedimento aperto nei confronti del carabiniere Mario Placanica, indagato per l’omicidio del giovane, fu archiviato il 5 maggio 2003 dal GIP Elena Daloiso, la quale rilevò “la presenza di caus[e] di giustificazione che esclud[ono] la punibilità del fatto” e prosciolse Placanica per uso legittimo delle armi, oltre che per legittima difesa come richiesto dal PM Silvio Franz.

La perizia realizzata durante l’istruttoria, basata su un filmato, ha concluso che il colpo che ha ucciso Carlo Giuliani fosse stato sparato verso l’alto e fosse rimbalzato su un sasso scagliato da un altro manifestante.

L’investimento con il mezzo di servizio, invece, venne spiegato dai carabinieri come un tentativo di fuga dai manifestanti armati di pietre e bastoni, e i militari affermarono di non essersi accorti della presenza del ragazzo a terra.

Tale versione, accolta dai magistrati, è sempre stata ritenuta poco credibile dalla famiglia Giuliani, che ha commissionato una ulteriore perizia secondo la quale il colpo è stato sparato in direzione della vittima. I familiari, assieme al “comitato Piazza Carlo Giuliani”, hanno realizzato un documentario sui fatti, in cui raccolgono le documentazioni fotografiche disponibili per tentare di ricostruire i fatti e smentire la tesi della magistratura. Nel documentario, si avanza anche l’ipotesi che a sparare dalla camionetta non fu Placanica, sulla base di un confronto tra alcune fotografie.

Il 13 marzo 2007 la Corte Europea dei diritti dell’uomo dichiarò “ricevibile” il ricorso presentato, il 18 giugno 2002 dalla famiglia Giuliani, dove si sosteneva che la morte di Carlo Giuliani era dovuta a “un uso eccessivo della forza” in violazione dell’articolo 2 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Nell’agosto del 2009, i giudici della Corte Europea hanno stabilito che Mario Placanica agì per legittima difesa, motivando che «il militare non è ricorso a un uso eccessivo della forza. La sua è stata solo una risposta a quello che ha percepito come un reale e imminente pericolo per la sua vita e quella dei colleghi».

Questa sentenza rilevava comunque alcune carenze nel rispetto degli obblighi procedurali previsti dallo stesso articolo, in base alle quali condannava lo Stato italiano a pagare 40.000 euro ai familiari di Carlo Giuliani (15.000 euro a ciascuno dei genitori e 10.000 euro alla sorella), in quanto «le autorità italiane non hanno condotto un’inchiesta adeguata sulle circostanze della morte del giovane manifestante» e perché non fu avviata un’inchiesta per identificare «le eventuali mancanze nella pianificazione e gestione delle operazioni di ordine pubblico». Deplorando queste mancanze la Corte ha dichiarato per questo di trovarsi nell’impossibilità di stabilire l’esistenza di una correlazione diretta e immediata tra gli errori nella preparazione delle operazioni di ordine pubblico e la morte di Carlo Giuliani.

Sia i familiari che lo stato italiano hanno fatto ricorso contro la sentenza, ricorso che è stato accolto nel marzo 2010.

In data 24 marzo 2011 la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha emesso la nuova sentenza, assolvendo pienamente lo Stato Italiano, per non aver violato la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ma criticando la gestione italiana degli scontri e l’assenza di indagini sulle mancanze del dispositivo di sicurezza della conferenza.

Secondo il medico legale della Procura, Marco Salvi, intervenuto in un altro procedimento riguardante le tragiche giornate di Genova, il colpo sparato era “diretto” e non venne deviato da alcun corpo esterno. La tesi è stata contestata anche dalla perizia di parte, presentata dai genitori di Giuliani, e da ricostruzioni indipendenti basate sul video e sulle numerose foto dove si vede la pietra incriminata frantumarsi contro la scritta “Carabinieri” presente sul retro del mezzo, ammaccandola, per cui non potrebbe aver deviato il colpo. L’altro colpo esploso dal carabiniere era stato ritrovato nella facciata di un palazzo mesi dopo il fatto, essendo sfuggito alle prime indagini.

La stessa autopsia di parte mostrerebbe come il foro del proiettile che ha colpito Giuliani sia incompatibile con i normali proiettili usati dai carabinieri: secondo la difesa, questo fatto è spiegabile sempre attraverso l’ipotesi del colpo deviato dal sasso, che avrebbe deformato il proiettile, mentre i genitori di Giuliani sostengono che i carabinieri avessero in dotazione dei proiettili non standard, illegali per uso civile.

Secondo la ricostruzione del Comitato Piazza Giuliani, Carlo aveva visto che dall’interno del mezzo il carabiniere di leva Mario Placanica puntava la pistola verso i manifestanti, fortemente intenzionato a sparare, e avesse reagito lanciando contro l’estintore anche se, secondo la perizia di parte presentata dagli avvocati della famiglia Giuliani, la distanza tra il manifestante e il mezzo era di 6,50 m, troppi perché l’estintore potesse avere qualche esito.

Nel giugno 2006 Haidi Giuliani, madre di Carlo, ha inviato una raccomandata a Mario Placanica per interrompere il decorso della prescrizione, lasciando aperta la possibilità di effettuare una causa civile nei confronti dell’ex carabiniere. Eletta nel frattempo senatrice della Repubblica per Rifondazione Comunista, la signora Giuliani ha tuttavia dichiarato di non averlo fatto per chiedere un risarcimento danni a Placanica, ma al fine di ottenere un processo “che faccia luce non solo su piazza Alimonda, su chi ha effettivamente sparato, ma anche sulle responsabilità politiche e sulla catena di comando”.

Dopo la seconda sentenza della corte Europea dei diritti dell’uomo il padre di Carlo, Giuliano, ha affermato di avere intenzione di intentare una causa civile, per riuscire ad ottenere un dibattimento sui fatti avvenuti prima e dopo la morte, come la questione relativa alla pietra con cui sarebbe stata colpita la testa del figlio.

Dopo il proscioglimento per la morte di Carlo Giuliani, Mario Placanica è intervistato dal quotidiano Calabria Ora

Nell’intervista Placanica ricostruisce il clima di tensione di quei giorni, sottolineando l’enorme pressione cui fu sottoposto e soffermandosi sull’evitabilità del fatto. Placanica si sofferma su alcuni episodi, come il fatto che nessuno fosse intervenuto per disperdere i manifestanti nonostante fosse evidente che il mezzo dove era non riusciva a spostarsi e come la reazione dei colleghi fu di compiacimento (“Mi dissero benvenuto tra gli assassini“), dando anche per vera l’ipotesi relativa al fatto che la testa di Giuliani sarebbe stata colpita con un sasso mentre questi giaceva a terra morto (“Ci sono troppe cose che non sono chiare.[…]Perché alcuni militari hanno “lavorato” sul corpo di Giuliani? Perché gli hanno fracassato la testa con una pietra?).

Nell’agosto 2008 Mario Placanica, assistito dal legale Carlo Taormina, ha sporto denuncia contro ignoti per l’omicidio di Carlo Giuliani. Secondo la tesi le perizie di parte effettuate su resti di Giuliani dismetterebbero l’assenza di residui dovuti alla camiciatura del proiettile: essendo i proiettili usati da Placanica, come quelli in dotazione degli altri sottufficiali, camiciati, questo fatto escluderebbe che i colpi mortali siano partiti dalla sua pistola. Taormina ha aggiunto che i colpi potrebbero essere partiti dall’arma di un ufficiale o da quella di un civile.

Mario Placanica non è nemmeno stato processato per l’omicidio di Carlo Giuliani. Nessuno è Stato. Non è Stato nessuno.

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