23 Agosto 1989
Rivoluzione cantante: due milioni di persone provenienti da Estonia, Lettonia e Lituania si dispongono sulla strada Vilnius-Tallinn (Via Baltica), tenendosi per mano per il ritorno dell’indipendenza per le tre nazioni baltiche: Estonia, Lettonia e Lituania.
Il termine “Rivoluzione Cantata o Cantante” fu coniato dall’attivista ed artista estone Heinz Valk in un articolo pubblicato in un settimanale dopo le spontanee e pacifiche manifestazioni di massa, durante il Festival della Canzone Estone di Tallinn del 1988.
23 Agosto 1927
Nonostante le proteste in tutti gli Stati Uniti d’America, vengono giustiziati gli anarchici italiani Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
Ferdinando Nicola Sacco (Torremaggiore, 22 aprile 1891 – Charlestown, 23 agosto 1927) e Bartolomeo Vanzetti (Villafalletto, 11 giugno 1888 – Charlestown, 23 agosto 1927) sono stati due attivisti e anarchici italiani.
Sacco di professione faceva l’operaio in una fabbrica di scarpe. Vanzetti, invece, che gli amici chiamavano Tumlin, dopo aver a lungo girovagato negli Stati Uniti d’America facendo molti lavori diversi, rilevò da un italiano un carretto per la vendita del pesce; ma fece questo lavoro per pochi mesi. I due furono arrestati, processati e condannati a morte con l’accusa di omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio «Slater and Morrill» di South Braintree, avvenuto durante una rapina.
Sulla loro colpevolezza vi furono molti dubbi già all’epoca del loro processo; a nulla valse la confessione del detenuto portoghese Celestino Madeiros, che scagionava i due. I due furono giustiziati sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927 nel penitenziario di Charlestown, presso Dedham.
A cinquant’anni esatti dalla loro morte, il 23 agosto 1977 Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, riconobbe ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la memoria di Sacco e Vanzetti.
23 Agosto 1923
Ad Argenta in provincia di Ferrara Don Giuseppe Minzoni viene ucciso dai fascisti.
Intorno alle 22:30, mentre stava rientrando in canonica in compagnia del giovane parrocchiano Enrico Bondanelli, don Giovanni Minzoni è vittima di un agguato teso da due squadristi di Casumaro, Giorgio Molinari e Vittore Casoni, facenti capo al futuro Console della milizia Italo Balbo.
Viene colpito alle spalle con sassi e bastoni e gli viene fracassato il cranio con una forte bastonata.
Il giovane Bondanelli, percosso a sua volta e ferito, deve abbandonare ogni difesa, mentre gli aggressori si allontanano velocemente.
Don Minzoni riesce in un primo momento a rialzarsi, e nonostante il forte dolore fa qualche passo ma cade sulle ginocchia.
Bondanelli, con grande difficoltà, lo aiuta ad arrivare a casa, dove alcuni paesani lo trasportarono di peso nel suo letto, data ormai la sua impossibilità di camminare.
Viene visitato da un dottore, ma le condizioni del sacerdote sono gravissime.
Morirà intorno a mezzanotte, circondato dai parrocchiani che sono accorsi per prestargli aiuto.
Don Minzoni ad Argenta si era dedicato a tradurre in pratica i principi del cattolicesimo sociale, soprattutto tra i giovani e i lavoratori. Aveva promosso la costituzione di cooperative di ispirazione cattolica tra i braccianti e tra le operaie dei laboratori di maglieria, il doposcuola, il teatro parrocchiale e una biblioteca circolante.
Durante gli scontri tra fascisti e antifascisti del 1920-1921 il sacerdote si era schierato esplicitamente contro il fascismo già prima della Marcia su Roma.
Per decisione della dirigenza fascista ferrarese, le ricerche sui responsabili dell’omicidio furono archiviate nel novembre 1923.
L’anno successivo – sull’onda dello scandalo politico provocato dal delitto Matteotti – i quotidiani Il Popolo e La Voce Repubblicana ritornarono sull’episodio denunciando Italo Balbo quale presunto mandante: quest’ultimo giornale in particolare pubblicò alcuni documenti riguardanti ordini da lui impartiti di bastonature di antifascisti e sue pressioni sulla magistratura.
Nel 1924 Balbo, divenuto nel frattempo Console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), a seguito di tali rivelazioni fu costretto a dimettersi dalla carica, perdendo la causa per diffamazione da lui intentata al quotidiano e fu condannato a pagare le spese processuali.