11 Luglio 1979

A Milano Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, dopo aver testimoniato davanti a giudici statunitensi sui traffici di Michele Sindona, viene assassinato mentre rientra a casa.

Avvocato milanese, nel Settembre del 1974 riceve l’incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana (la fusione delle due banche di Michele Sindona, legato sia a Cosa Nostra che alla Logga P2) dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli.

Da solo lavora per cinque anni cercando di districarsi tra i maneggi e le irregolarità di Sindona e delle sue banche. Cercano di corromperlo e poi di spaventarlo per convincerlo a stendere dei documenti che scagionino Michele Sindona. Nonostante sapesse di correre notevoli rischi (anche se pensava legati alla sua carriera, e non alla sua sicurezza), Ambrosoli non molla.

Scrive alla moglie:

Anna carissima,
è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi i giorni dell’Umi, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell’interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [… ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro.. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi (…) Giorgio.

Nonostante le minacce di morte ad Ambrosoli non viene accordata nessuna scorta. Lavora da solo alla documentazione, saltuariamente aiutato da Baffi (governatore di Bankitalia) e da Sarcinelli (capo dell’ufficio vigilanza); entrambi verranno poi incriminati e poi assolti per il caso Roberto Calvi / Banco Ambrosiano.
Dopo 5 anni di lavoro conclude l’inchiesta. Dovrebbe presentare una dichiarazione formale il 12 Luglio 1979.

Non lo farà mai: la sera prima, rincasando dopo una cena da amici, viene avvicinato da William Joseph Aricò, malavitoso legato a Cosa Nostra Statunitense e ucciso da 4 colpi di 357 Magnum.

Nessuna carica dello Stato parteciperà ai funerali.

Verranno incriminati e condannati per il suo omicidio anche Michele Sindona e Robert Venetucci, ma resteranno sempre nell’ombra i veri mandanti che avevano interesse nel salvare il banchiere di origine Siciliana Sindona. Quasi certo il coinvolgimento di Licio Gelli e della Loggia P2, spesso si è fatto anche il nome di Giulio Andreotti, che di lui in un’intervista a “La storia siamo noi” nel 2010 si lascerà scappare:

Giornalista: “Secondo lei perché Ambrosoli è stato ucciso?”
Giulio Andreotti: “Questo è difficile, non voglio sostituirmi alla polizia o ai giudici, certo è una persona che in termini romaneschi ‘se l’andava cercando’”.