17 Maggio 1972
Alle ore 9:15, Luigi Calabresi viene assassinato davanti alla sua abitazione in Largo Cherubini, a Milano, da un commando di due uomini, che gli sparano alle spalle un colpo alla schiena e uno alla testa, mentre sta raggiungendo la sua auto, una Fiat 500 blu.
Secondo alcune testimonianze il killer è un uomo giovane e alto a volto scoperto, che dopo aver sparato riattraversa la strada e sale su una Fiat 125 blu che si dilegua nel traffico, e di cui uno dei testimoni prende la targa.
Nel periodo che seguirà l’omicidio Calabresi avverranno molti attentati contro altri dipendenti dello stato impegnati contro la lotta armata.
Tali attentati avranno uno scopo punitivo e ammonitivo al contempo, e le indagini nei confronti degli autori degli attentati risulteranno particolarmente difficili.
Alcune ricostruzioni legano l’omicidio Calabresi alla massoneria, nella fattispecie dell’organizzazione denominata Gladio. Calabresi viene ucciso mentre conduce un’indagine sul traffico di armi tra la Svizzera ed il Veneto. Non a caso uno dei primi sospettati del suo omicidio è Gianni Nardi, estremista di destra, più volte arrestato per traffico d’armi e accertato massone appartenente a Gladio, il quale morirà in un sospetto incidente d’auto prima che venga chiarita la sua posizione. Inoltre i rapporti di Calabresi su quell’indagine non saranno mai trovati.
Le Brigate Rosse condurranno anch’esse un’indagine sull’Omicidio Calabresi, riassunta in otto pagine ciclostilate, presenti tra il materiale trovato il 15 ottobre 1974 nel loro covo di Robbiano di Mediglia.
Parte del materiale sequestrato, inizialmente depositato presso il Nucleo Speciale Antiterrorismo dei Carabinieri di Torino, andrà successivamente smarrito dopo vari passaggi (in parte verrà forse distrutto nel 1992, dopo essere stato ritenuto di nessuna utilità). Altre parti dei documenti sequestrati saranno tuttavia trascritte e riassunte dagli agenti che si occupano dell’indagine. Sembra che i documenti e le trascrizioni, per motivi misteriosi, non perverranno, se non parzialmente, agli addetti alle indagini al Tribunale di Milano. L’oblio verrà rotto dalle indagini della Commissione Stragi, che si farà consegnare il materiale superstite.
L’indagine delle Brigate Rosse confermava nell’impianto generale ciò che fu accertato solo anni dopo.
Sedici anni dopo i fatti, nel luglio 1988, Leonardo Marino, nel 1972 militante di Lotta Continua e in quell’epoca ormai del tutto lontano dall’associazione avrà una crisi di coscienza. Si confesserà prima con un sacerdote e, in seguito, confesserà davanti ai giudici di essere stato uno dei due componenti del commando che aveva ucciso il commissario.
Marino affermerà di aver guidato l’auto usata per l’omicidio, e dichiarerà che a sparare al commissario è stato Ovidio Bompressi; aggiungerà che i due hanno ricevuto l’ordine di compiere l’omicidio da Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, allora leader del movimento.
Marino descriverà dettagliatamente, ma secondo diverse fonti in modo impreciso, i particolari dell’attentato.