10 Settembre 1943

A Piombino la popolazione insorge contro forze navali tedesche che vogliono fare ingresso in porto e occupare la città.

Dal momento in cui viene destituito Mussolini e cade il fascismo (25 Luglio 1943) a Piombino c’è molto fermento, fatto di manifestazioni e di dibattito politico (soprattutto sindacale).

Con la firma dell’armistizio l’8 Settembre si pensava ad una fine delle ostilità ormai prossima, ma già la sera stessa un convoglio militare tedesco già presente in porto aveva cercato di occupare la città; la reazione dei militari di Piombino era stata immediata e costringeva i tedeschi alla fuga. Questo episodio convince gli ufficiali piombinesi a restituire le armi ai marinai.

All’alba del 10 Settembre alcune navi comandate dal capitano Karl Wolf Albrand cercano di entrare in porto spacciandosi per navi italiane. Dopo essere stati comunque riconosciute come tedesche, il comandante della divisione costiere Cesare Maria De Vecchi autorizza l’accesso, facendo sbarcare i nazisti in città che cominciano atti palesemente ostili.

La popolazione reagisce immediatamente minacciando l’insurrezione. Nonostante il generale Fortunato Perni ordina ai carri armati di aprire il fuoco a scopo intimidatorio sulla manifestazione popolare, i piombinesi continuano a manifestare e ricostruiscono gli organici delle batterie e delle postazioni di battaglia per dare supporto ai carri armati che difendono gli impianti industriali dai gruppi d’assalto tedeschi.

Alle 21:15 comincia un violento scontro a fuoco che si protrae per alcune ore.

All’alba dell’11 Settembre i tedeschi vengono costretti alla resa, anche se nella mattinata ordini impartiti al generale De Vecchi lo costringono a liberare i tedeschi e a restituirgli le armi, cedendogli di fatto la città.

Gli operai, i marinai e gli ufficiali che avevano combattuto contro i tedeschi si erano già dileguati nei boschi circostanti, entrando subito a far parte delle brigate partigiane (a fine Settembre saranno già nella Terza Brigata Garibaldi) e cominciando la Resistenza al Nazifascismo.


10 Settembre 1931

All’inaugurazione dello stadio di Firenze, Bruno Neri è l’unico a non fare il saluto romano.

Nato a Faenza il 12 ottobre 1910, in gioventù frequenta l’Istituto Agrario di Imola. Un’esistenza del tutto ordinaria, nel contesto della piccola borghesia italiana dell’epoca, che tuttavia prende una strada totalmente diversa quando emerge il suo talento per il calcio.

Gioca per Faenza, Livorno, Fiorentina, Lucchese e Torino, collezionando anche 3 presenze con la nazionale italiana di Pozzo.

Appassionato di arte e di poesia, fuori dal campo di gioco si dedica a incontri culturali con scrittori, poeti ed attori e visita mostre e musei. Con i proventi dell’attività di calciatore tenta di avviare un’attività imprenditoriale, acquistando a Milano un’officina meccanica dal tenore faentino Antonio Melandri, fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale.

Si avvicina agli ambienti antifascisti grazie al cugino Virgilio Neri, notaio milanese in contatto con personalità politiche come don Sturzo e il futuro presidente della Repubblica Italiana Giovanni Gronchi. Dopo l’armistizio di Cassibile si arruola tra le file della Resistenza partigiana.

Vicecomandante del Battaglione Ravenna con nome di battaglia “Berni”, era dislocato nella zona compresa tra il campo d’azione del gruppo guidato da Silvio Corbari e la 36ª Brigata Bianconcini, in un’area strategicamente significativa a ridosso della Linea Gotica. L’attività partigiana non gli impedisce di tornare ad indossare gli scarpini da calciatore: partecipa, infatti, al Campionato Alta Italia 1944 con la maglia del Faenza.

Cade in uno scontro con i nazisti avvenuto il 10 luglio 1944 a Marradi nei pressi dell’eremo di Gamogna, sull’Appennino tosco-romagnolo, mentre si reca insieme a Vittorio Bellenghi (“Nico”, ex ufficiale del Regio Esercito e comandante del Ravenna) a perlustrare il percorso che avrebbe dovuto condurre il suo battaglione a recuperare un aviolancio alleato sul Monte Lavane.