Il problema è che il resto del mondo prima o poi va a dormire
È così che va con l’insonnia. Tutto è così lontano, una copia di una copia di una copia. L’insonnia ti distanzia da ogni cosa, tu non puoi toccare niente e niente può toccare te”
Chuck Palahniuk, Fight Club
Il problema è che il resto del mondo prima o poi va a dormire. E si addormenta davvero. Le persone con cui parli per messaggio ti augurano la buonanotte, una alla volta. Come se fosse un’immensa biblioteca piena di scrivanie, ognuna con la sua brava lampada ministeriale Churchill verde, e resta solo la tua, di luce. Solo che la tua non è un oggetto di design vintage, è un cavo vecchio e secco con i fili di rame che escono, attaccato a un portalampada praticamente bruciato. Puoi anche evitare l’etere. Puoi scoparti la prima donna a caso, ma anche lei a una certa ti saluta, ti ringrazia e se ne va a dormire. Puoi uscire con gli amici e sbronzarti fino al vomito, ma ognuno andrà a vomitare nel suo cesso. Tu invece resterai a fartela passare, lottando con un letto che ormai è diventato un ottovolante. E non puoi sperare di addormentarti e farla finita. Devi restare aggrappato alle poche protezioni che hai finché la corsa non è finita. Finché non sorge l’alba. Puoi dormire con una persona che ami. Puoi dormirci abbracciato stretto, pelle contro pelle mentre senti il suo respiro farsi più lento. Puoi passare la notte ad ascoltarla dormire. Oppure puoi dormire in un letto troppo piccolo a Firenze in preda all’ansia, schiena contro schiena (ma senza toccarsi) finché non la senti russare. E comunque aspettare l’alba.
Le luci si spengono, quelle degli altri. La tua luce è in corto circuito. Balbetta, luce buio luce buio lucebuiolucebuio. Luce. Sempre e comunque luce.
Suonerà la sveglia, ma servirà soltanto ad avvisarti che è l’ora di alzarsi dal letto, non a svegliarti.
La notte è infinita. Una volta restavo sveglio a scrivere. O a giocare a un qualsiasi videogioco, finché la combinazione di non sonno, stanchezza e schermi illuminati mi ha fottuto gli occhi. Adesso porto gli occhiali. E poi stare seduto non permette nemmeno al tuo corpo di riposare. Migliora la tua sanità mentale perché il tempo passa più in fretta. Ma il giorno dopo ti sembra di avere le ossa talmente fragili che basterebbe un soffio per mandarti in frantumi. In mille pezzi.
Vivere diventa un equilibrio precario tra il non crollare a terra e non impazzire.
Sapete quanto dura una notte? No, non lo sapete. Immaginatevi seduti a un tavolo. Rilassati, con le mani sul piano. Con gli occhi chiusi, ma vigili. Senza mai addormentarvi. Pensatevi seduti lì la mattina alle 8:00, come quando entrate in ufficio. Continuate a immaginarvi a quella scrivania, senza nessuno intorno. In silenzio, senza stimoli. Immaginatevi a quella scrivania ogni singolo minuto fino alle 14:00 del pomeriggio. Immobili. In silenzio. Annoiati. Ogni. Fottuto. Secondo. Ecco quanto dura una notte. Tutte le notti.
Con il tempo ho imparato a sdraiarmi, spegnere la luce e chiudere gli occhi. Questo mi permette di dormire. Perché non credete a chi vi dice che non dorme da mesi. O da anni. Dopo 10 giorni o crollate perché il vostro cervello ha un blackout o crollate perché siete morti. Già dopo un giorno e mezzo comincia ad annebbiarsi la vista. La vostra termoregolazione se ne va affanculo e avrete caldo o freddo assolutamente a caso. Una parte del vostro cervello continuerà a mandare impulsi per dormire, l’altra metà per svegliarsi. Questa lotta prende il nome di microsonno. Quattro o cinque secondi di buio totale di cui non avete percezione. Che durante il giorno mentre state guidando la macchina, parlando con una donna che volete portarvi a letto o con un cliente a cui volete vendere qualcosa, o ascoltando un professore che si illude che lo stiate ascoltando, può essere un problema… Ma durante la notte sono la vostra arma migliore di sopravvivenza. Quindi pensate soltanto di essere sempre svegli sotto le coperte. Ma non è così. Magari dormite anche 20 minuti. o Mezz’ora. Ma quasi mai tutte intere.
Io resto al buio, quello della stanza e dietro le mie palpebre chiuse. Ma il mio cervello vede soffitti bianchi, che però non rivelano nulla. Non un disegno, un senso. Qualsiasi cosa. Non c’è nulla. Solo il bianco.
Il bianco è nullità e fissità. Per questo è lo specchio perfetto dell’insonne. L’insonne è una nullità perché anche le azioni più basilari della sua esistenza diventano ostacoli insormontabili. L’insonne è fissità perché i soffitti bianchi gli restano negli occhi. Anche quando si alza dal letto. Mentre guida per andare a lavoro. Mentre lavora. Mentre si ubriaca per illudersi che la prossima notte andrà meglio. Gli occhi fissi guardano un mondo che non esiste. Un mondo che si sviluppa in quei soffitti bianchi, come la tela vergine di un’artista.
Ho uno smartwatch che ha la funzione “Energia”. Una volta funzionava. Quando suonava la sveglia segnalava l’energia per la giornata in funzione di quanto e di che qualità era stato il sonno. A volte era 96%. A volte, quando la notte era stata travagliata, 73%. Durante la giornata, in base ai passi fatti e alle calorie consumate, l’energia diminuiva. Arrivavi al 16-17%, molto stanco. Era il momento di andare a dormire. Dormivi, l’energia si ricaricava e il giorno dopo eri pronto a ricominciare da capo.
Ora non funziona più. Quando mi alzo dal letto l’energia residua è 13%. Qualche volta 8%. Ci sono volte in cui l’energia residua è 0%. E devi comunque alzarti e andare al lavoro. E vivere, in qualche modo.
L’insonnia nervosa ha sempre una causa psicologica. Rimorsi e sensi di colpa perlopiù. Per questo non ha via di scampo. Si consiglia terapia psicologica a lungo termine. Che tendenzialmente non posso permettermi. Allora si scelgono psicologi a buon mercato. Come il fondo di una bottiglia. Quello costa meno settimanalmente, e spesso funziona. Molti medici lo negano, perché l’alcol produce sonnolenza a breve termine. Significa che ti sdrai nel letto, lotti per una mezz’ora contro il mondo che all’improvviso ha deciso di essere un oceano in burrasca, e poi stramazzi in qualcosa di molto simile ad un elettroencefalogramma piatto. Senza sogni, e questa è la vera benedizione. Poi è vero. Dopo 3-4 ore ti svegli nel letto con gli occhi sbarrati a fissare soffitti bianchi. Ma qualsiasi coglione insonne può dirvi che 3-4 ore sono meglio di nulla. Che 4 ore a fissare il bianco del soffitto sono meglio di 8. O di una vita intera.
I soffitti bianchi dipingono sempre la stessa scena, quella che ha scatenato i tuoi sensi di colpa. Dà la nausea. Diventa un’onda d’odio dalla quale non si può più uscire. Odio per se stessi. È come il giorno della marmotta di Bill Murray. Con la differenza che rivivi ogni notte i momenti peggiori della tua vita. Quelli più bassi. Quelli dove sei stato peggiore. I soffitti bianchi sono il Nulla della Storia Infinita conditi dalla sensazione che è stata tutta perfettamente colpa tua. Come se avessi distrutto Fantasia e poi te ne lamentassi.
Ti sdrai in un letto che sa di sesso sapendo che probabilmente è l’ultima volta che sentirai quell’odore. Ti sdrai in un letto sfatto che puzza di adrenalina, paranoia e terrore. Perché ogni notte che ti sdrai su quelle lenzuola, ogni notte che passa, ogni notte che ci provi, sai perfettamente che non dormirai. La disperazione impregna il materasso. Il cuore comincia a pompare in un ritmo sincopato e fuori tempo. Il respiro si fa profondo e veloce, come quello del passeggero di un aereo nella traiettoria vorticosa che ti porterà a schiantarti a terra. Il torace si alza e si abbassa, cominci a sudare miasmi di paura. E gli occhi si fissano su quei soffitti bianchi. Dove non riesci a sognare, ma il tuo cervello mette in scena incubi sempre peggiori. Ogni notte; sempre peggio.
Non si riesce a pensare se non si dorme. Non si è lucidi. Quello che ti è successo durante la giornata resta a galleggiare dietro ai tuoi occhi. Le persone normali lo assorbono. Lo incasellano dormendo. Diventa ricordo. Per me, insonne, sono tutti momenti presenti messi in fila davanti agli occhi. Hai talmente tante cose a cui pensare che non pensi a un cazzo. I pensieri rimangono cartelli pubblicitari impazziti che ti aggrediscono le sinapsi urlando “guarda me, guarda me!”, uno sull’altro, uno contro l’altro finché impazzisci e urli di lasciarti stare.
L’insonnia che dura in maniera massiccia per settimane porta le allucinazioni sonore: sono tra le cose peggiori che mi siano mai capitate. Sentire suoni che non esistono, persone che ti chiamano o clacson che ti suonano possono condurti alla follia. Se poi lo sai che sono solo allucinazioni cerchi di fartene una ragione: non che aiuti a stare meglio, ma ci sono più probabilità di non impazzire.
E visto che la colpa è solo ed esclusivamente mia, le cose peggiorano. Perché in fondo so che me lo merito. Perché l’insonnia è tortura, dolore, sofferenza e terrore. Tutte cose che hanno a che fare non con il perdono, ma con l’espiazione. Il fatto è che non è vero. Le colpe si pagano e si redimono con chi il torto l’ha subito. Non con i soffitti bianchi. Ai soffitti bianchi non frega un cazzo della tua espiazione. Ai soffitti bianchi non gliene frega un cazzo di niente. Restano solo delle strutture che ti proteggono dalla pioggia, sono una parte di quella che chiami casa. Se ne fottono delle tue motivazioni, dei tuoi problemi, dell’odore del sesso. I soffitti bianchi sono indifferenti come l’insonnia.
E allora mi alzo dal letto, tanto la sveglia suona tra meno di un’ora, ormai. E ho capito una cosa, dopo la mia esperienza con l’insonnia: quando i soffitti bianchi non ti lasciano, è meglio alzarsi. Il bianco di una pagina aiuta a sopravvivere molto più di quello del soffitto. Il cattolicesimo l’aveva capito secoli fa: confessati. Confessa la tua colpa. È mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. Non mi resta che stare qui, senza pregare un dio in cui non credo, ad ammetterlo in continuazione. Sperando di dormire. Sperando di rivivere. Sperando di espiare. Sperando di diventare una persona migliore. Mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.
Il sole tramonta. Cala il buio. Comincia un’altra notte in cui non dormirò.