La rivolta del Rag.Fantozzi
Sono quello che ha sempre subito le angherie dei capi, lavoravo al posto dei miei colleghi, io mi sbattevo e loro venivano promossi, sono l’archetipo del dipendente della megaditta, costretto a lavorare in un sottoscala, ad umiliarsi per i capricci di una direzione viziosa, a partecipare alle inutili attività ricreative del solito rag. Filini, costretto a sopportare la vergogna di uno stipendio da fame, necessario alla mia sopravvivenza ma del tutto inadeguato all’esigenza di sollevarmi dalla mia condizione di paria.
Vedo i miei colleghi fare finta di nulla, percepire il mio stesso stipendio da fame, vivere ancora con i genitori a trent’anni e fottersi i soldi con cui costruirsi un futuro in vestiti, macchine, e status quo, che li illudano di essere come i mostri che vogliono imitare. Pagando di fatto per essere rinchiusi in una gabbia auto-costruita, auto-sorvegliata. Auto-condannati a morte. Pensando di essere liberi, pensando di scegliere come vivere.
E’ un mondo senza futuro, dove la massa è una macchia informe e scura piena di anime butterate e scorciate vestite a festa, come cadaveri decomposti vestiti con l’ultimo doppiopetto di Hugo Boss. E’ una massa che ci fa paura, da cui vogliamo fuggire dichiarando a gran voce la nostra unicità, il nostro essere individuali. Facendo di fatto il loro gioco, perché le stanze del potere temono la massa. Uomini e donne comuni, diventano famosi senza alcuna particolare abilità, senza alcun particolare talento che giustifichi la loro sete di immortalità, mentre le telecamere del Grande Fratello immortalano le loro bugie, la loro finzione. La loro falsità. Telecamere che li controllano, per vietare che un qualche barlume di idea o fantasia passi ad infettare le masse, come un virus incurabile.
Sogno i favori di una voluttuosa Signorina Silvani, sapendo già nel mio inconscio che sarà una cocente delusione; che non saprà capirmi, che non saprà apprezzarmi, che non saprà o non vorrà proteggermi, perché il suo bisogno di soddisfazione estetica non le permetterà di amare l’outsider, l’escluso, il solitario che la sua società deride, anche se ne è irrimediabilmente attratta, perché io ho la forza della verità, perché il mio odore ha il profumo del purezza del bianco, la purezza del bene.
Voglio di più della mia vita, più della mia piccola Pina che mi attende, a casa ogni sera, dolce e innamorata, che subisce i miei sfoghi, la mia rabbia e la mia aggressività, non per necessità o per sopravvivenza ma per amore. Che sa come prendermi, che sa come farmi ridere, che mi consola quando tocco il fondo, che mi rialza quando piango. Che sa rendermi felice. La Pina è la mia salvezza, ma ancora non lo so. Quando lo saprò sarà inevitabilmente troppo tardi, Questa è l’essenza di una tragedia destinata a compiersi. Avere già la soluzione ad ogni problema e fottersi l’esistenza a trovare un’alternativa, perché la nostra insoddisfazione è il motore del mondo, scontata e prevedibile come il finale di un romanzo rosa.
Sono insoddisfatto perché invidio chi sta meglio di me, lo osservo con i miei pregiudizi perché mi auto-convinco di essere migliore. Mai per un momento mi passa per la mente che il mondo sia giusto così com’è. Se abbiamo la presunzione di essere migliori di un meccanico mondo naturale, allora non accetto un mondo basato su caste auto-determinate o determinate da falsi valori di benessere e denaro. Forse non del tutto giusto. Sicuramente quasi niente sbagliato.
La mediocrità mi ribrezza. E soprattutto sono stanco di subire. Il problema non è la vergogna. Io vivo come voglio sono loro che dovrebbero vergognarsi. Il problema è la rabbia, questa rabbia che mi assale e che non mi lascia stare, che mi mangia dentro, che si riproduce in maniera incontrollata come un tumore in fase terminale.
Mi uccido di anestetici, mi ubriaco di vino da quattro soldi in sacchetti di carta marrone, fumo erba grassa che mi ottenebra la mente, che mi rilassa, smette di farmi pensare. Ma la rabbia rimane al risveglio, amplificata dal mal di testa del giorno dopo.
Forse non c’è speranza. Comincio a picchiare la Pina e mia figlia Mariangela (l’ennesimo mio fallimento come uomo) per poi subire i miei sensi di colpa e ricominciare ad autodistruggermi per farli tacere…
E’ forse questa la Rivolta?!?!?!
La ballata di Fantozzi
Paolo Villaggio