Terremoto e migranti: canzone quasi d’amore
“Non starò più a cercare parole che non trovo
per dirvi cose vecchie con il vestito nuovo”
Il terremoto dispiace sempre, perché delle persone muoiono. Innocenti, non innocenti, sono morte e basta. E chi non è morto si ritrova senza casa, senza più una vita come la conosceva. Con dei lutti, con la disperazione, con la solitudine.
Io ho una reazione atipica rispetto a tutto questo forse. Da una parte c’è una reazione buonista, che è fatta di raccolte fondi e beni di prima necessità da parte di gente che non piscerebbe nemmeno sul suo vicino di pianerottolo se dovesse prendere fuoco; dall’altra i beceri razzisti del “prima gli italiani”, “perché i negri sono negli alberghi a cinque stelle e gli italiani nelle tendopoli”.
Io invece non riesco a capire né l’una né altra parte. E allora continua a dispiacermi per i morti e i terremotati che sono sopravvissuti, ma mi dispiace molto di più per tutti quelli che sono vivi o che stanno vivendo esattamente come prima del terremoto: dando aria alla bocca e scrivendo cose a cazzo su una tastiera (come sto facendo io? Si, può essere).
“Io parlo sempre tanto, ma non ho ancora fedi
e non voglio menar vanto di me o della mia vita
Costretta come dita dei piedi”
Quello che vorrei capire è cosa spinge le persone a schierarsi da una parte o dall’altra. A sentire il bisogno irrinunciabile di esprimere un’opinione sui social, senza senso e scritta in un italiano sgrammaticato. L’odio vi fa sentire meglio? Meglio di quei poveretti o morti o senza casa o senza amici, mogli, amanti, figli? Vi basta essere lontano dalla tragedia per sentirvi meglio. E tralascio i beceri Renzi, Salvini e tutti i politicanti a cui interessa soltanto essere rieletti per poi fottersene per il resto della vita dei loro elettori. Perché
“Perché siam tutti uguali
e moriamo ogni giorno dei medesimi mali
perché siam tutti soli
ed è nostro destino tentare goffi voli
d’azione o di parola
volando come vola il tacchino”
Noi che li votiamo, intendo. Noi siamo tutti uguali, nella stessa identica merda ogni giorno; e a qualcuno va peggio con un terremoto, a qualcuno perché il posto dove è nato è stato sconvolto da una guerra che non ha voluto e che l’Occidente ha causato. A qualcuno va meglio, ma non per questo deve sentirsi libero di ergersi a giudice, o di avere la verità in tasca.
Quello che so io è che il terremoto non si può prevedere, ma si possono costruire edifici antisismici. E so come sono costruiti gli edifici in Italia, perché ci ho lavorato per tanti anni: al risparmio e fottendosene del futuro.
So che è orribile che i superstiti dei terremoti vivano in tendopoli, ma so anche che la colpa non è dei migranti, ma di tutta la classe politica che una volta spente le telecamere torna bellamente a farsi i cazzi suoi mentre a L’Aquila e in Emilia la gente si arrangia a cercare di rimettersi in piedi, con l’aiuto di poche organizzazioni e associazioni con due soldi che cercano di tenere in piedi tutto come meglio possono.
So che i migranti hanno attraversato un inferno, e molti di loro sono abituati a scavare sotto le macerie per salvare i sopravvissuti, “a casa loro”.
“perché siam tutti uguali, siamo cattivi e buoni
e abbiam gli stessi mali, siamo vigliacchi e fieri,
saggi, falsi, sinceri… coglioni!”
So anche cosa significa la noia e la rabbia di essere impotenti di fronte a tutto questo. Ma né la noia né la rabbia giustificano quello che state facendo alle vostre tastiere, e che state facendo leggere al mondo di Facebook o Twitter o qualsiasi altro social network. Tanto più che se uno non vi legge non verrà mai toccato dal vostro buonismo o dalla vostra ignoranza.
Prima gli esseri umani, per favore. Non italiani, non i migranti. Gli esseri umani. Un plauso a chi sta facendo davvero qualcosa andando a dare una mano, qualsiasi sia il colore della sua pelle. Un urlo di sdegno per chi in un modo o nell’altro fa campagna elettorale sulla pelle della gente (Renzi e Salvini in testa, ma secondo me un po’ tutti i comuni di Italia si accoderanno a breve). E adesso basta per favore.
“D’ altra parte, lo vedi, scrivo ancora canzoni
e pago la mia casa, pago le mie illusioni,
fingo d’ aver capito che vivere è incontrarsi,
aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare,
bere, leggere, amare… grattarsi!”
Se vi annoiate, lasciate stare la tastiera. Non scrivete cose imbarazzanti per voi e per chi vi ha messo al mondo. Prendete una mano e grattatevi lì in mezzo alle gambe, senza distinzione di sesso: ammazzerete la noia che vi pervade e smetterete di fare danni.
Vincere l’odio con una canzone quasi d’amore.