13 Aprile 1985

13 Aprile 1985

Danuta Danielsson picchia con la borsetta un neofascista durante una manifestazione a Växjö, in Svezia.

Non si sa molto della vita della Danielsson, non ha mai voluto parlare con con i giornalisti.

Era una di origine polacca di 38 anni emigrata in Svezia dopo il matrimonio che aveva avuto la madre internata nel campo di concentramento di Majdanek, dal quale era uscita viva.

L’uomo preso a colpi di borsetta dalla Danielsson è Seppo Seluska, giovane neonazista svedese che qualche anno dopo sarà condannato per aver torturato e ucciso un ebreo omosessuale. Il gesto della Danielsson non rimase l’unico gesto di protesta contro la manifestazione del NRP quel giorno, in seguito ad esso, infatti, la folla di astanti iniziò a lanciare uova e insulti all’indirizzo dei manifestanti, che presto si dispersero.

Forse perché incapace di reggere al clamore scatenato dal suo gesto e alla stampa che chiedeva a gran voce di conoscere la sua storia, la Danielsson, donna che soffriva di ansia e depressione, si uccise pochi anni dopo, gettandosi da una finestra nel 1988 dopo un lungo periodo di cura.

Nel 2014, la scultrice svedese Susanna Arwin ha realizzato una statua in miniatura di Danuta Danielsson basandosi proprio su questa fotografia e sempre nello stesso anno è nata un’iniziativa per l’erezione di una statua bronzea che ricordi il gesto della Danielsson nella città di Växjö, progetto che è stato però bloccato da parte di esponenti locali del Partito di Centro (in svedese: Centerpartiet), secondo i quali una simile statua avrebbe promosso e giustificato un gesto violento.

Secondo quanto sostenuto da un consigliere comunale della città, inoltre, la stessa Danielsson si sarebbe dispiaciuta nel vedersi ricordata in quel modo. A tutt’oggi molte sono però le richieste, in tutta la Svezia, perché il gesto di protesta della Danielsson sia ricordato con una statua, per questo non è raro trovare, soprattutto in giro per Växjö una borsetta appesa alle varie statue della città.

13 Aprile 1919

13 Aprile 1919

In India, il generale inglese Reginald Dyer, al comando di truppe britanniche e Gurkha fa aprire il fuoco contro la folla durante una manifestazione nell’Amritsar, causando 379 morti ed oltre 1.000 feriti.

Il 18 marzo 1919 nell’intero subcontinente vi furono proteste e manifestazioni di massa guidate dal Partito del Congresso contro il Rowlatt Act, legge che consentiva incarcerazioni arbitrarie di dissidenti senza alcun processo.

Dopo la prima guerra mondiale stava aumentando l’insoddisfazione fra gli indiani. Questi avevano partecipato al conflitto senza però trarre alcun vantaggio dai loro sacrifici, sottostando a uno stato meno liberale di quello di altri dominion come Canada e Australia.

Mentre i membri istruiti della classe media del Congresso mettevano in pratica i metodi pacifici propugnati da Mohandas Gandhi, chiamati satyagraha, molti dei manifestanti non lo facevano.

Il primo giorno delle marce, il 6 aprile, pacifiche dimostrazioni politiche volsero rapidamente alla violenza. Gli assassinii di numerosi amministratori britannici, attacchi incendiari a banche inglesi, uffici governativi e proprietà private indussero il governatore inglese del Punjab, sir Michael O’Dwyer, a dichiarare la legge marziale. Il timore diffuso del Governo coloniale indiano era che tali violenze fossero l’inizio di una rivolta generale paragonabile a quella del 1857.

Il 13 aprile migliaia di indiani si trovarono al Jalianwalla Bagh, nel cuore della città di Amritsar. L’occasione era la festività Sikh di Baisakhi in cui è tradizione festeggiare l’arrivo della primavera ritrovandosi in comunità. Il raduno sfidava l’articolo della legge marziale che proibiva le riunioni di cinque o più persone in città. Il luogo del ritrovo, il Jalianwalla Bagh, era un parco circondato su tutti i lati da mura di mattoni e con una sola stretta apertura per l’accesso e l’uscita.

Le truppe inglesi e i gurkha marciarono sino al parco accompagnati da un mezzo blindato su cui erano montate mitragliatrici, che però rimase fuori dato che non era in grado di passare nello stretto ingresso.

I soldati erano guidati dal colonnello (generale di brigata pro tempore in attesa della smobilitazione) e veterano della prima guerra mondiale Reginald Dyer che, senza sparare alcun colpo di avvertimento affinché la folla si disperdesse, ordinò ai suoi uomini di aprire il fuoco.

Dato che non esistevano nel parco altre uscite oltre a quella già ingombrata dai soldati, la gente tentò disperatamente di scappare arrampicandosi sui muri e alcuni si gettarono in un pozzo per sfuggire ai proiettili.

Il tiro, furono sparati 1.650 proiettili, continuò sino all’esaurimento delle munizioni e in pochi minuti vi furono ufficialmente “almeno 379 morti e oltre 1.200 feriti”; le truppe si ritirarono senza fornire alcuna assistenza medica ai feriti.