Memorie dalla clandestinità'
Titolo: Memorie dalla clandestinità. Un terrorista pentito si racconta
Autore: Giorgio
Data di pubblicazione: 1981-11-01
Editore: Il pane e le rose
Lingua: Italiano
Genere: Autobiografico
ISBN: 00819040

Da pochi mesi sull’ultimo volume del Pane e le rose Annamaria Caredio, la curatrice della collana, aveva fatto pubblicare un appello ai lettori perché le inviassero in esame lavori di narrativa. Così quando arrivò un testo con poche righe di accompagnamento abbastanza vaghe e firmate semplicemente Giorgio non fu accolto con particolare emozione, sembrava uno dei tanti dattiloscritti che l’appello aveva fatto uscire dal cassetto. Ma non era così. Certo il grado di scrittura e il taglio autobiografico erano tutti dentro l’arco medio in cui ha oscillato la produzione letteraria giovanile degli anni ’70, ma la storia raccontata no.

Fino ad ora quelle vicende ce le avevano descritte tutte dall’esterno sociologi, politici, giornalisti; nel migliore dei casi, a squarciare quel buio c’erano le dichiarazioni di qualche pentito la cui abiura però poteva far velo alla credibilità del racconto. Questa invece era la prima volta che, sia pure anonima e col rischio dell’inautenticità, usciva all’esterno in forma compiuta una testimonianza diretta dall’interno della lotta armata.

Non ci è stato facile prendere una decisione sulla pubblicazione. La discussione interna alla casa editrice è stata serrata, riflettendo posizioni e schieramenti sulla questione del terrorismo che sono presenti nel dibattito politico di tutto il paese. Pur nella unanime condanna della violenza terrorista, se ne faceva una questione di principio. Poi ciò che ha sciolto i nostri dubbi è stato proprio il passare dal dibattito astratto allo specifico giudizio sul libro di Giorgio. Lo abbiamo riletto con attenzione e quello stile asciutto e senza retorica, la descrizione minuziosa di una vita grigia da travet del terrore, la angoscia della solitudine che traspariva, ormai quasi dichiarata, ci hanno riportato ai termini concreti del problema: non si trattava di decidere se diffondere o meno un messaggio politico del partito armato ma solo se pubblicare il racconto di un modo di spendere la propria vita che, per quanto agghiacciante, centinaia di giovani in questi anni hanno scelto. Non potevamo tirarci indietro.