24 Febbraio 1946: immagine di Juan Peron, presidente dell'Argentina

24 Febbraio 1946

Juan Domingo Perón viene eletto presidente dall’Argentina.

Generale e politico argentino, rimarrà presidente fino al 1955, quando un colpo di stato militare lo rovescerà. Verrà poi rieletto alla stessa carica nel 1973, l’anno prima di morire.

Presidente degli strati popolari della società (i suoi seguaci verranno chiamati descamisados, letteralmente “scamiciati”), fu eletto per gli sforzi di eliminare la povertà e di dare dignità al lavoro argentino; i suoi avversari invece rappresentavano l’oligarchia e l’apparato militare (da cui peraltro anche Peron proveniva).

Spesso considerato demagogo e anche dittatore, diede vita al “Peronismo” (o justicialismo), un movimento politico che aveva come ambizioso obiettivo quello di essere una terza via alternativa al capitalismo e al socialismo.

Fondamentale per la sua carriera e successo politico fu l’intervento della sua seconda moglie, Evita Peron (resa celebre anche dal musical con Madonna “Evita”).

Nonostante le premesse, il governo di Peron fu sincretico e spesso populista: una strana unione di socialismo, patriottismo, fascismo italiano (sebbene non si definì mai come fascista), democrazia, sovranità popolare e socialismo nazionale.

Peron, nonostante fosse probabilmente molto meglio della dittatura militare che si instaurò dopo il suo primo periodo al potere, fu uno dei presidenti argentini più discussi, proprio a causa del suo sincretismo politico e dell’asilo che diede ai criminali nazisti che scappavano dai processi dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nonostante non avesse vicinanza ideologica con loro; fatto questo che venne giustificato dal presidente argentino dalla consolidata tradizione argentina di asilo politico verso chiunque lo richiedesse.

Il suo sincretismo lo mise in contatto con personaggi contradditori e diametralmente opposti tra loro: i criminali nazisti, Golda Meir (Israele) e massoni di ogni provenienza come Ligio Gelli della P2 italiana, che andrà pero ad appoggiare la repressione contro i peronisti da parte della dittatura militare instaurata nel 1976.


24 Febbraio 1944: foto di Giacomo Perlasca, il Capitano Zenith, partigiano e antifascista italiano.

24 Febbraio 1944

Giacomo Perlasca, il “Capitano Zenith” partigiano e antifascista italiano e medaglia d’argento al valor militare viene fucilato a Brescia.

Giacomo Perlasca nasce a Brescia il 19 dicembre 1919 da Francesco e Gina Vimercati, originari di Como. Mentre sta frequentando il Politecnico di Milano, decide di arruolarsi. Inquadrato nel Regio Esercito, entra a far parte del corpo degli alpini come sottotenente del 4º Reggimento Artiglieria Alpina a Riva del Garda. L’8 settembre 1943 si trova a Roma, viene fatto prigioniero dai tedeschi ma riesce a fuggire in un parapiglia e raggiunge avventurosamente, il 14 settembre, Brescia.

Il 22 settembre decide di entrare nella Resistenza. Si rivolge ai padri della Pace che lo mettono in contatto con la nascente organizzazione clandestina. Alla fine di ottobre inizia la sua attività partigiana come comandante e coordinatore delle formazioni Fiamme Verdi in Valle Sabbia e Valtenesi, col nome di battaglia “Franco Zenith” e “Capitano Zenith”.

Promuove la costituzione di nuove formazioni stabilendo un collegamento con la Svizzera per permettere ai prigionieri alleati di fuggire dall’Italia, inoltre dirige a Rocca d’Anfo colpi di mano su autocolonne ed attrezzature del nemico. Va alla ricerca di armi nelle cascine e nei boschi di quelle lanciate l’8 dicembre dagli Alleati e finite per errore in Val Degagna anziché in Val di Vesta. Ma con il suo vice comandante Bettinzoli cade ben presto nella rete della polizia.

A causa di una delazione, viene arrestato dai tedeschi il 18 gennaio 1944 a Brescia per opera di fascisti in via Moretto e quale organizzatore di bande armate ma anche per contatti col nemico. Il 14 febbraio 1944 viene processato dal Tribunale Militare tedesco di Brescia e viene condannato a morte assieme a Bettinzoli. Pur avendo sottoscritto la domanda di grazia e nonostante i tentativi compiuti soprattutto dalla madre per ottenere la commutazione della pena, il mattino del 24 febbraio 1944 alle otto Perlasca e il Bettinzoli vengono portati in automobile al maneggio della ex caserma del 77º Reggimento Fanteria, attuale caserma Randaccio, dove poco dopo vengono fucilati.

Durante il marzo e l’aprile del 1944 la situazione all’interno del corpo delle Fiamme Verdi precipita a causa della scomparsa di Perlasca e degli arresti di tutti i componenti rimasti. Sul terreno preparato dall’attività dei primi gruppi, e in particolare dallo sforzo organizzativo di Perlasca e Bettinzoli, dopo molte avversità come la durezza dell’inverno e la repressione, si innestano le formazioni che nell’estate del 1944 costituiscono la brigata «Giacomo Perlasca».

La Brigata si costituisce ufficialmente il 1 agosto 1944, ma le sue origini risalgono all’autunno del 1943 grazie ai gruppi organizzati da Giacomo Perlasca e Mario Bettinzoli. Dopo la morte di Giacomo Perlasca, il suo nome viene attribuito a una delle formazione delle Brigate Fiamme Verdi chiamata appunto Brigata Perlasca. Con un organico di 280 uomini e operante tra la Valle Sabbia e la Valle Trompia, alla fine del conflitto conterà una trentina di caduti.