24 Marzo 1944

24 Marzo 1944

335 prigionieri partigiani sono fucilati dai soldati tedeschi per rappresaglia all’Attentato di via Rasella del 23 Marzo, dove i partigiani avevano attaccato un convoglio di soldati, uccidendone 33. È l’eccidio delle Fosse Ardeatine.

Subito dopo l’attacco di Via Rasella, il generale Mälzer, subito dopo il primo colloquio con il generale von Mackensen e ancor prima della decisione definitiva del feldmaresciallo Kesselring, aveva incaricato il colonnello Herbert Kappler di individuare la lista dei prigionieri italiani da eliminare; essendo morti fino a quel momento ventotto soldati tedeschi a via Rasella, il capo della Gestapo a Roma iniziò a raccogliere i nomi di 280 Todeskandidaten. Il colonnello Kappler era consapevole della difficoltà di individuare in brevissimo tempo un numero così elevato di persone; nelle prigioni di via Tasso e di Regina Coeli egli disponeva di circa 290 prigionieri tra uomini e donne, ma una parte non rientravano tra i già condannati a morte o i colpevoli di reati passibili di condanna a morte; inoltre le donne vennero subito escluse dalla rappresaglia. Il colonnello Kappler decise di richiedere la collaborazione del questore Caruso che, dopo un incontro e alcune discussioni, promise di fornire una lista di cinquanta prigionieri da inserire nelle elenco dei Todeskandidaten.

Il colonnello Kappler prese in considerazione la possibilità di includere nell’elenco anche i 57 ebrei imprigionati in attesa di essere deportati; egli si consultò con il suo superiore diretto, il generale Wilhelm Harster, comandante in capo della Polizia tedesca in Italia con comando a Verona, che apparentemente sollecitò il suo subordinato a completare la lista a tutti i costi includendo anche “tutti gli ebrei di cui avete bisogno”. Il colonnello Kappler ottenne anche l’approvazione al suo operato del giudice generale del Tribunale militare tedesco a Roma, Hans Keller, che ritenne sulla base della legge tedesca di autodifesa che la proporzione della rappresaglia fosse appropriata. Il colonnello quindi attivò i suoi ufficiali, illustrò le decisioni delle autorità superiori e diede inizio alla frenetica individuazione dei nomi da inserire nell’elenco; il lavoro degli ufficiali della sezione della Gestapo di Roma, diretto personalmente dal colonnello Kappler e dal suo aiutante principale, capitano Erich Priebke, durò tutta la notte.

Il lavoro degli uomini del colonnello Kappler divenne ancor più difficile dopo la notizia arrivata nel corso della notte che il numero dei soldati tedeschi morti in via Rasella era salito a trentadue; diveniva quindi indispensabile, per mantenere la proporzione stabilita per la rappresaglia, individuare 320 italiani da condannare a morte. Dalla ricerca iniziale emerse che i condannati a morte presenti nelle carceri della Gestapo erano solo tre, membri della Resistenza comunista e azionista, mentre gli uomini candidabili sulla base di accuse per reati passibili di condanna a morte risultarono sedici. Il colonnello Kappler incluse subito anche i 57 ebrei a cui aggiunse i nomi di altri otto antifascisti di religione ebraica; dopo essersi recato alla caserma del Viminale, l’ufficiale individuò altri dieci nomi, ritenuti dalle autorità di polizia italiane, “noti comunisti”, compresi tra le persone rastrellate sommariamente in via Rasella dopo l’attentato.

Nella notte la ricerca di altri Todenskandidaten continuò sempre più frenetica; il capitano Priebke ha descritto come con il passare delle ore si procedette ad un nuovo controllo degli elenchi dei detenuti ed all’inserimento nella lista di uomini arrestati in attesa di giudizio per “oltraggio alle truppe tedesche”, per possesso di “armi da fuoco o esplosivi” o perché presunti capi di “movimenti clandestini”. Il colonnello Kappler decise a questo punto di comprendere tra i condannati Aldo Finzi, ebreo con un importante passato di amicizia e collaborazione con Mussolini, e soprattutto il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, l’abile capo del Fronte militare clandestino dell’esercito, e altri 37 militari italiani, tra cui tre generali e tre ufficiali dei carabinieri compresi due capitani che avevano arrestato il Duce il 25 luglio 1943. Alle ore 03.00 del mattino del 24 marzo il colonnello Kappler, dopo aver aggiunto alla lista il sacerdote accusato di “attività comuniste” don Pietro Pappagallo, il partigiano Marcello Bucchi e il professore di liceo accusato di “antifascismo” Paolo Petrucci, ritenne, contando sui 50 nomi promessi dal questore Caruso, di aver raggiunto finalmente il numero di 320 condannati a morte previsti dalla rappresaglia.

Alle ore 08.00 del mattino tuttavia il questore Caruso non aveva ancora pronto il suo elenco; egli si era recato a conferire con il ministro degli interni del Regime di Salò, Guido Buffarini Guidi, per richiedere istruzioni e la sua approvazione alla compilazione della lista; il ministro si mostrò poco interessato a prendere responsabilità dirette e si limitò ad affermare che era inevitabile dare i nomi, “altrimenti chissà cosa potrebbe succedere. Si, si, dateglieli!”. Alle ore 09.45 Caruso ebbe un incontro burrascoso in via Tasso con il colonnello Kappler che pretese la lista dei 50 nomi; al colloquio era presente anche Pietro Koch, capo della squadra speciale della polizia fascista di Roma, che stava già preparando un suo elenco di persone da condannare alla rappresaglia. Caruso apparve poco collaborativo; affermò di non avere molti prigionieri e diede solo il nome di un medico condannato a morte per mercato nero; egli quindi si allontanò seguito da Koch che invece garantì al colonnello che la lista con i 50 nomi sarebbe stata pronta entro le ore 14.00.

Il colonnello Kappler si incontrò alle ore 12.00 con il generale Mälzer per riferire; era stato convocato anche il maggiore Dobbrick, comandante della compagnia del polizeiregiment Bozen colpita in via Rasella; il generale, dopo essere stato informato dal colonnello Kappler sui progressi nella compilazione della lista e sulle difficoltà dell’inviduazione del numero di italiani, ordinò al maggiore Dobbrick di eseguire personalmente con i suoi uomini la rappresaglia. Il maggiore Dobbrick tuttavia rifiutò espressamente di obbedire a questo ordine affermando che i suoi soldati non erano in grado, per sentimenti religiosi, di eseguire le fucilazioni “nel breve tempo a disposizione”[28]. Con grande disappunto il generale Mälzer dovette ricercare altri esecutori e in un primo momento consultò il colonnello Wolf Rüdiger Hauser, capo di stato maggiore del generale von Mackensen e richiese un reparto di truppe per eseguire materialmente la rappresaglia[29]. Il colonnello Hauser tuttavia rifiutò a sua volta di farsi coinvolgere, affermando che il compito spettava alla polizia tedesca che aveva subito l’attacco; il generale Mälzer, sempre più in difficoltà, decise infine di assegnare direttamente al colonnello Kappler e ai suoi uomini l’esecuzione delle fucilazioni; egli stabilì inoltre che il capo della Gestapo a Roma avrebbe dovuto partecipare personalmente per “dare l’esempio”.

Nel dopoguerra, Herbert Kappler venne processato e condannato all’ergastolo da un tribunale italiano e rinchiuso in carcere. La condanna riguardò i 15 giustiziati non compresi nell’ordine di rappresaglia datogli per vie gerarchiche. Colpito da un tumore inguaribile, con l’aiuto della moglie riuscì ad evadere dall’ospedale militare del Celio, il 15 agosto 1977, e a rifugiarsi in Germania, ove morì pochi mesi dopo, il 9 febbraio 1978.

Il principale collaboratore di Kappler, l’ex-capitano delle SS Erich Priebke, dopo una lunga latitanza in Argentina, nel 1995 venne arrestato ed estradato in Italia, ove, processato, venne condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine. Morirà a Roma l’11 ottobre 2013.

Anche Albert Kesselring, catturato a fine guerra, fu processato e condannato a morte il 6 maggio 1947 da un tribunale militare britannico per crimini di guerra e per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, ma la sentenza fu poi commutata nel carcere a vita. Nel 1952 fu scarcerato per motivi di salute e fece ritorno in Germania, dove si unì ai circoli neonazisti bavaresi. Morì nel 1960 per un attacco cardiaco.

Subito dopo la fine della guerra il comune di Roma bandì un concorso per la sistemazione delle cave ardeatine e la costruzione di un monumento in ricordo delle vittime dell’eccidio nel luogo stesso in cui avvenne: le cave di pozzolana della via Ardeatina; fu il primo concorso d’architettura nell’Italia liberata.

Dalle due fasi del concorso uscirono vincitori ex aequo due gruppi: quello formato dagli architetti Nello Aprile, Cino Calcaprina, Aldo Cardelli, Mario Fiorentino e dallo scultore Francesco Coccia e quello formato dagli architetti Giuseppe Perugini e Mirko Basaldella. Ai due gruppi fu assegnato l’incarico di un progetto comune per la costruzione di un sacrario, la sistemazione del piazzale e il consolidamento delle gallerie fatte esplodere dai tedeschi dopo l’eccidio: quello che è stato chiamato monumento, o mausoleo, ai martiri delle Fosse Ardeatine. Il monumento fu inaugurato il 24 marzo 1949.