14 Ottobre 2007

14 Ottobre 2007

Aldo Bianzino viene trovato morto nella sua cella al carcere di Capanne, vicino a Perugia.

Era stato arrestato due giorni prima insieme alla moglie, perché nella sua casa isolata di Pietralunga (PG) doveva viveva con la moglie, un figlio di 14 anni e una nonna di 90 anni, aveva piantato 8 piante di marijuana.

Era un ebanista, e aveva scelto uno stile di vita alternativo per la sua famiglia, in un casale isolato sulle colline umbre. Aldo era pacifista e seguiva molte filosofie orientali.
Era un hippie del 2000: intagliava il legno, era pacifico, fumava marijuana.

Lo arrestano il 12 Ottobre con l’accusa di possesso e spaccio di sostanze stupefacenti. Nonostante li segua di sua volontà e dichiari che le piante sono sue, viene arrestata anche la moglie. Il figlio di quattordici anni viene lasciato a casa con la nonna e lontano da tutto per due giorni.

Marito e moglie vengono separati al carcere di Capanne, e separati in due diversi reparti. Roberta Radici non vedrà più suo marito vivo.

La mattina del 14 Ottobre, alle 8:15, Aldo viene trovato morto nella sua cella.

L’autopsia rivelerà due costole rotte e il distaccamento del fegato. L’unico a venire inquisito sarà la guardia penitenziaria di turno, per omissione di soccorso.

Quando la moglie, mentre sta per essere rilasciata, chiede alla guardia quando potrà rivedere il marito, la guardia risponde: “Martedì, dopo l’autopsia“.

La prima autopsia riscontra lesioni al fegato, alla milza, al cervello e due costole rotte. Il medico legale Patumi, nominato dalla famiglia, asserisce che le lesioni sono effetto di “colpi dati chiaramente per uccidere”, che “mirano a distruggere gli organi vitali senza lasciare tracce esterne”. La seconda autopsia indica invece un aneurisma cerebrale come causa del decesso.

Si apre così un’indagine contro ignoti per omicidio volontario. Dai filmati delle videoregistrazioni interne al carcere, risulta che nella notte tra il 13 e i 14 ottobre non viene prestato alcun soccorso a Bianzino, che pure, secondo i detenuti ascoltati dal pubblico ministero, aveva chiesto insistentemente aiuto. Su queste basi, l’agente di polizia penitenziaria che quella notte aveva effettuato il turno di guardia viene iscritto nel registro degli indagati per omissione di soccorso e omesso servizio. Le videoregistrazioni avvenivano solo per quindici secondi ogni due minuti, e l’agente non disponeva delle chiavi delle celle.