25 Settembre 2005

25 Settembre 2005

A Ferrara il diciottenne Federico Aldrovandi muore pochi minuti dopo essere stato fermato dalla polizia nei pressi dell’ippodromo; sono indagati per la sua morte quattro poliziotti condannati in via definitiva il 21 giugno 2012 a 3 anni e 6 mesi per “eccesso colposo in omicidio colposo”.

La notte del 25 settembre 2005 Aldrovandi decide di tornare a casa a piedi dopo aver trascorso la serata al locale Link di Bologna. Durante la nottata il giovane assume sostanze stupefacenti e alcol.

Nei pressi di viale Ippodromo a Ferrara sta circolando, in quegli stessi minuti, la pattuglia “Alfa 3” con a bordo Enzo Pontani e Luca Pollastri. Quest’ultimi descrivono l’Aldrovandi come un “invasato violento in evidente stato di agitazione”, sostengono di “essere stati aggrediti dallo stesso a colpi di karate e senza un motivo apparente” e chiedono per questo i rinforzi.

Dopo poco tempo arriva in aiuto la volante “Alfa 2”, con a bordo Paolo Forlani e Monica Segatto. Lo scontro tra i quattro poliziotti e il giovane diventa molto violento (durante la collutazione due manganelli si spezzano) e porta quest’ultimo alla morte, sopraggiunta per “asfissia da posizione”, con il torace schiacciato sull’asfalto dalle ginocchia dei poliziotti.

Alle 6.04 la prima pattuglia richiede alla propria centrale operativa l’invio di un’ambulanza del 118, per un sopraggiunto malore. Secondo i tabulati dell’intervento, alle 6.10 arriva la chiamata da parte del 113 a Ferrara Soccorso, che invia sul posto un’ambulanza ed un’automedica, giunte sul posto rispettivamente alle 6.15 ed alle 6.18.

All’arrivo sul posto il personale del 118 trova il paziente “riverso a terra, prono con le mani ammanettate dietro la schiena […] era incosciente e non rispondeva”. L’intervento si conclude, dopo numerosi tentativi di rianimazione cardiopolmonare, con la constatazione sul posto della morte del giovane, per “arresto cardio-respiratorio e trauma cranico-facciale”.

La famiglia viene avvertita solamente alle 11 del mattino, quasi cinque ore dopo la constatazione del decesso. I genitori, di fronte alle 54 lesioni ed ecchimosi presenti sul corpo del ragazzo, ritengono poco credibile la morte per un malore.

Il 2 gennaio 2006 la madre di Federico apre un blog su internet, chiedendo che venga fatta luce su alcuni contorni oscuri di tutta la vicenda. Questo causa un’accelerazione delle indagini, che erano già in corso.

Il 20 febbraio 2006 vengono depositati i risultati della perizia medico legale disposta dal Pubblico Ministero, secondo la quale “la causa e le modalità della morte dell’Aldrovandi risiedono in una insufficienza miocardica contrattile acuta […] conseguente all’assunzione di eroina, ketamina ed alcool”.

Di tutt’altra voce un’indagine medico–legale, depositata il 28 febbraio 2006 dai periti della famiglia, seconda la quale dall’esame autoptico la causa ultima di morte sarebbe stata “un’anossia posturale”, dovuta al caricamento sulla schiena di uno o più poliziotti durante l’immobilizzazione.

Per quanto riguarda l’assunzione di droghe, la quantità di sostanze tossiche assunte dal giovane era la medesima rilevata dai periti della Procura, ma assolutamente non sufficiente a causare l’arresto respiratorio: in particolare l’alcool (0,4 g/L) era inferiore ai limiti fissati dal codice della strada per guidare, la ketamina era 175 volte inferiore alla dose letale e l’eroina assunta non poteva essere significativa, stante lo stato di agitazione imputato ad Aldrovandi.

Essendo la sintomatologia dell’abuso di oppiacei caratterizzata da uno stato di sedazione e torpore, la morte di Aldrovandi, correlata al suo stato di euforia ed agitazione, è logicamente incompatibile con una forte overdose di eroina. Inoltre sia la perizia che i risultati delle indagini avrebbero evidenziato un contesto di gravi violenze subite dal giovane durante tutto l’intervento delle due pattuglie di Polizia.

Nel frattempo la notorietà della storia aumenta sempre di più, grazie alla mobilitazione di associazioni, comitati, scuole e del consiglio comunale di Ferrara, arrivando fino alla partecipazione a trasmissioni televisive nazionali.

Il 15 marzo 2006 arriva la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati dei quattro agenti che avevano proceduto all’arresto di Aldrovandi per omicidio colposo. L’avviso di garanzia viene notificato loro il 6 aprile 2006.

Il 16 giugno 2006 si tiene il primo incidente probatorio di fronte al giudice per le indagini preliminari, fra la famiglia della vittima, i quattro imputati ed una testimone oculare dell’accaduto, la camerunense Annie Marie Tsagueu. La Tsagueu, residente in viale Ippodromo, è l’unica testimone ad aver visto e sentito distintamente alcune fasi della collutazione. Ha visto gli agenti (due su quattro) picchiare Federico Aldrovandi, comprimerlo sull’asfalto e manganellarlo. Ha inoltre sentito le sue grida di aiuto e lo ha sentito respirare tra un conato di vomito e l’altro.

Dall’incidente probatorio emergono tra le altre una lunga escoriazione alla natica sinistra, segno di trascinamento sull’asfalto, ed un importante schiacciamento dei testicoli. Nel frattempo viene disposta una perizia super-partes, con un incarico affidato all’”Istituto di Medicina Legale di Torino”.

Dalle indagini nel frattempo emergono vari elementi incoerenti: come il fatto che il PM non sia andato a compiere un sopralluogo sulla scena del decesso; che non sia stata sequestrata l’automobile su cui, a detta degli agenti, si sarebbe ferito Aldrovandi; che non siano stati sequestrati i manganelli, di cui due rotti, come confermato dall’onorevole Carlo Giovanardi in corso di interrogazione parlamentare; ed infine che il nastro contenente le comunicazioni fra il 113 e la pattuglia sia stato messo a disposizione della Procura soltanto molto tempo dopo.

Per questi motivi verrà aperta una seconda inchiesta presso la Procura di Ferrara, per vari reati, tra cui falso, omissione e mancata trasmissione di atti.
L’11 novembre 2006 verrà depositata la perizia eseguita a Torino, in cui veniva escluso categoricamente un nesso fra la morte e le sostanze psicotrope assunte da Aldrovandi, e secondo la quale la causa del decesso è da attribuirsi ad una morte improvvisa per insufficienza funzionale cardio-respiratoria, definita dagli autori anglosassoni come “excited delirium syndrome”. Dalla discussione delle perizia, avvenuta il 14 dicembre 2006, emergerà un ruolo attivo delle persone che erano con Aldrovandi.

Il 10 gennaio 2007 verranno formalmente rinviati a giudizio, per omicidio colposo, gli agenti Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri, per aver ecceduto i limiti dell’adempimento di un dovere, per aver procrastinato la violenza anche dopo aver vinto la resistenza del giovane e per aver ritardato l’intervento dell’ambulanza. Dopo le procedure di istruzione del processo la prima udienza verrà fissata per l’ottobre 2007.

All’inizio di febbraio 2008 viene mostrato un filmato di dieci minuti, girato dalla polizia scientifica sul luogo dell’evento, dopo la partenza dell’ambulanza e prima dell’arrivo del medico legale, in cui gli agenti presenti sul posto scambiano considerazioni sull’accaduto. Nel video emergerebbero preoccupanti divergenze con le foto scattate dal medico legale.

Il 26 giugno 2007 vengono per la prima volta interrogati durante il processo i quattro imputati, i quali si dichiarano stupiti della morte della vittima, che “stava benissimo prima dell’arrivo dei sanitari”, mentre la registrazione della centrale operativa riporta chiaramente: “… l’abbiamo bastonato di brutto. Adesso è svenuto, non so… È mezzo morto”. Gli agenti raccontarono che i due sfollagente si sarebbero rotti per un calcio di Aldrovandi e per una caduta accidentale di un poliziotto. Sempre secondo la deposizione, l’ambulanza fu chiamata immediatamente, mentre non fu utilizzato il defibrillatore automatico di cui era dotata la volante poiché Aldrovandi non aveva “mai dato segni di sofferenza”.

Il 10 ottobre 2008 i periti della difesa fornirono una versione opposta alle perizie di parte civile, ribadendo la rilevanza delle sostanze assunte dal giovane, in quantità sufficienti a causarne la morte, ed escludendo che la colluttazione o il mantenimento della posizione prona abbiano “avuto effetto nel processo che ha portato alla morte del ragazzo”. Sommando gli effetti analgesici delle droghe si sarebbe compreso come il ragazzo avesse potuto ferirsi ripetutamente senza sentire dolore. L’agitazione psicomotoria “intensissima […] ha innescato un meccanismo che ha portato a perdere il controllo del cervello e quindi a non rendersi conto del fabbisogno di ossigeno che il suo organismo richiedeva”, cosa che sarebbe dipesa “dall’assunzione delle droghe, indipendentemente dalle quantità ingerite”. Nemmeno il mettere la vittima in posizione seduta, conclusero i periti, le avrebbe salvato la vita, in assenza di una specifica terapia d’urgenza.

Secondo una nuova perizia di parte civile del 6 novembre 2008 viene invece riportato che “alla base del cuore, lungo l’efflusso ventricolare sinistro, in particolare in corrispondenza del setto membranoso situato fra cuspide aortica non coronarica e coronarica destra, si osserva un cospicuo ematoma. Questa è la sede del fascio di His […]. Il coinvolgimento del fascio di His da parte dell’ematoma è vistoso e con grande verosimiglianza è di origina traumatica […] oppure ipossico da insufficienza respiratoria prolungata”. La perizia conclude che “con probabilità molto elevata questa complicanza è stata la causa di morte”. Il 9 gennaio 2009 il perito di parte venne sentito in udienza, il quale conclude affermando la morte per causa violenta di Aldrovandi.

Il 19 giugno 2009, il pubblico ministero titolare del caso ha pronunciato una requisitoria in cui ha chiesto 3 anni e 8 mesi per i poliziotti implicati: Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani e Luca Pollastri.
Il 6 luglio 2009 il giudice Francesco Maria Caruso del tribunale di Ferrara ha condannato per omicidio colposo a tre anni e sei mesi di reclusione i quattro poliziotti indagati, riconoscendo l’eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi. I quattro condannati, grazie all’indulto varato nel 2006, non sconteranno la loro pena.

Il 5 marzo 2010 tre poliziotti sono stati condannati nel processo Aldrovandi bis sui presunti depistaggi nelle indagini mentre un quarto è stato rinviato a giudizio. La decisione sui depistaggi conferma l’ipotesi accusatoria dell’intralcio alle indagini fin dal primo momento. Le condanne sono state per:
Paolo Marino, dirigente dell’Upg all’epoca, a un anno di reclusione per omissione di atti d’ufficio, per aver indotto in errore il PM di turno, non facendola intervenire sul posto.
Marcello Bulgarelli, responsabile della centrale operativa, a dieci mesi per omissione e favoreggiamento.
Marco Pirani, ispettore di polizia giudiziaria, a otto mesi per non aver trasmesso, se non dopo diversi mesi, il brogliaccio degli interventi di quella mattina.
Luca Casoni, il quarto poliziotto coinvolto, che non ha scelto il rito abbreviato, è sottoposto a processo a partire dal 21 aprile 2010. Il 27 gennaio 2011 viene assolto dall’accusa di falsa testimonianza perché il fatto non sussiste e assolto dalle accuse di favoreggiamento e omissione d’atti ufficio perché il fatto non costituisce reato.

Il 9 ottobre 2010 viene stabilito, a favore dei familiari di Federico Aldrovandi, un risarcimento pari a circa due milioni di euro, in cambio dell’impegno a non costituirsi parte civile nei procedimenti ancora aperti.
Il 10 giugno 2011 la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la pena sancita in primo grado dal tribunale di Ferrara per la morte di Federico Aldrovandi, accogliendo in questo modo le richieste della PG e respingendo in toto le tesi difensive.

Il 21 giugno 2012 la corte di cassazione ha reso definitiva la condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio colposo di Federico Aldrovandi ai quattro poliziotti Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri. In particolare la quarta sezione penale ha respinto il ricorso presentato dalla difesa dei quattro agenti contro la condanna che era già stata emessa dalla Corte d’Appello di Bologna.

I poliziotti non rischiano però il carcere visto che 3 anni sono coperti dall’indulto. Tuttavia, dopo la condanna definitiva, scatteranno i provvedimenti disciplinari.
Per Amnesty International si è trattato di “un lungo e tormentato percorso di ricerca della verità e della giustizia. Solidarietà e vicinanza ai familiari di Federico Aldrovandi, che in questi anni hanno dovuto fronteggiare assenza di collaborazione da parte delle istituzioni italiane e depistaggi dell’inchiesta”.

In cassazione i famigliari di Federico Aldrovandi non si sono costituiti parte civile dopo aver raggiunto una transazione con il ministero dell’Interno e dopo aver ricevuto le scuse del capo della Polizia Antonio Manganelli che ha incontrato i genitori del giovane durante una visita privata.

“Come con Cucchi, come Aldrovandi, ti cercan l’anima a forza di botte”

Fronte Unico, Omicidi di Stato