4 Giugno 1913

Al derby di Epsom Emily Davison, attivista inglese per il diritto di voto alle donne, invade la pista e viene colpita dal cavallo di Re Giorgio V. Morirà quattro giorni dopo per una frattura del cranio.

Nelle immagini d’epoca si vede l’attivista cercare di afferrare le briglie di Anmer, il cavallo del re cavalcato dal fantino Herbert Jones, e addosso alla donna viene ritrovata la bandiera viola, bianca e verde del WSPU.

Qualcuno (soprattutto i detrattori delle Suffragette) sosterrà che la donna si sia suicidata per diventare una martire della causa, mentre le sue compagne di lotta affermeranno che l’intenzione di Emily Davison sarebbe  stata quella di attaccare la loro bandiera alle briglie del cavallo del re per farla sventolare fino al traguardo in un evento mondano tra i più importanti della Gran Bretagna.

A sostegno di quest’ultima tesi ci sono il biglietto ferroviario di ritorno dal derby e un altro biglietto per un ballo delle sufragette in serata, oltre ad un viaggio programmato a Parigi per far visita alla sorella e al nipote appena nato.
Inoltre un’analisi approfondita della storica Maureen Howes, che analizzerà il materiale d’archivio e i cinegiornali dell’epoca escluderebbero l’ipotesi del suicidio e del martirio.

Il fantino Herbert Jones se la caverà con un lieve trauma cranico, ma rimarrà sconvolto dall’episodio, tanto da suicidarsi nel 1951.

Il funerale, che avrà luogo a Londra il 14 Giugno 1913, radunerà moltissime persone. Emily Davison verrà sepolta in una tomba di famiglia a Morpeth; sulla lapide lo slogan WSPU: “Atti, non parole“.