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Nuovi Racconti
Home›On Writing›Nuovi Racconti›Una penna disonesta

Una penna disonesta

By zorba
24 Dicembre 2012
2133
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C’è penombra, nello studio, sento la polvere nel naso. ho sempre portato gli occhiali, ma la mia vista peggiora di anno in anno. Solo il naso è rimasto affidabile. L’udito sale e scende, ma ancora non mi preoccupa. Una lama di luce entra dalle tende di velluto avorio, che sembrano essere quasi una continuazione della tappezzeria. Non si vede, con questo buio, ma io lo so. Vivo qui da anni. Ci vengo da decenni, da quando il presidente non ero io ma Scalfaro. Io ero solo Presidente della Camera dei Deputati. Quando i Deputati erano diversi. Forse non più onesti, ma con più classe. Con più rigore. Con più dignità.

Mi guardo allo specchio e vedo un vecchio, con la pelle floscia e spenta. Con i capelli bianchi radi, un fremito che riesco a controllare sempre meno nelle labbra. Macchie senili, anche in faccia. Un essere umano che ha visto 87 inverni su questa terra. Appena troppo giovane per la resistenza, decisamente troppo vecchio per la rivoluzione giovanile. Fascista per obbligo, comunista per scelta, socialista per convenienza. Sempre una seconda scelta, in ogni caso. Sempre un passo dietro ad uomini migliori di me. Ed ora… Primo degli italiani. Gran Maestro dell’Ordine, di qualsiasi ordine, dalla Repubblica Italiana fino a Vittorio Veneto. Decorato da Spagna, Lituania, Città del Vaticano, Slovacchia, Polonia e Francia… Per cosa… Non ricordo. Le onorificenze contano meno quando fatichi a sopravvivere ai fantasmi. A cercare di essere un uomo migliore di quello che sei in realtà.

La luce che entra dalla finestra alla sinistra della scrivania francese del 1750 si riflette su quella che sembrerebbe una statua, mandando barbigli dorati. Immobile, il corazziere veglia, con la sua squadrona al fianco. Come se io non esistessi. Si irrigidisce ancora al mio passaggio. E io che non credevo fosse possibile. Lo saluto, mi siedo. Sono sempre stato affascinato dal combattimento, sono sempre arrivato troppo tardi o troppo presto. Ho condotto guerre, e a volte bisogna firmare un armistizio per andare avanti. Anche se dall’altra parte c’è la mafia. Vorrei un arma, per combattere questa politica che rappresento. Invece ho solo questa “penna disonesta”; “un’arma scarica”.

“Se fosse tutto limpido,
tutto semplice e legittimo,
se l’impedimento unico
fosse l’interesse pubblico,
se il mercato fosse solido,
se il governo fosse tecnico,
se bastasse qualche monito
ad illuminare il buio che c’è qua”

Questo ruolo non fa per me. Sono un luogotenente, non un capo. La nuova legge di stabilità. Stabilità per chi? Non per i miei concittadini italiani, sempre più instabili, come acrobati sul filo del rasoio. Camminare in bilico, per ritrovarsi piedi piagati e feriti. Fino alla caduta, inesorabile. La mano trema, il cuore frena. Ma alla fine firmerò. Che altro posso fare? Non ho avuto grandi battaglie. E se c’ero non le ho guidate io. Ero il messaggero nell’ombra, non il soldato, non il comandante. E adesso sono solo. Non voglio lottare. Non voglio resistere. E’ soltanto una penna, in fondo…

“Io vorrei una penna disonesta,
che mi legga nella testa
e che se sbaglio lo impedisca,
scrivo sì ma poi non resta.
Una biro che si guasta
o che si impunta per protesta
che piuttosto mi ferisca questa mano destra.”


Monito®
Daniele Silvestri

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