22 Ottobre 2009

22 Ottobre 2009

Stefano Cucchi muore a Roma durante la custodia cautelare.

Arrestato il 15 Ottobre 2009, dopo essere stato trovato in possesso di 21 grammi di droga (tra hashish e cocaina) viene processato per direttissima e tenuto al carcere di Regina Coeli nonostante le condizioni di salute non siano buone: pesa 43 chilogrammi, e presenta segni di malnutrizione.

Dopo una settimana muore nel reparto detenuti dell’ospedale Sandro Pertini; il cadavere pesa 37 kg e presenta numerosi segni di ecchimosi, ha la mascella fratturata, un’emorragia alla vescica e due fratture alla colonna vertebrale.

Le indagini preliminari sosterranno che a causare la morte sono stati i traumi conseguenti alle percosse, il digiuno (con conseguente ipoglicemia), la mancata assistenza medica, i danni al fegato e l’emorragia alla vescica che impedisce la minzione del giovane (alla morte aveva una vescica che conteneva ben 1.400 cc di urina, con risalita del fondo vescicale e compressione delle strutture addominali e toraciche).

Inoltre determinante sarà l’ipoglicemia in cui i medici lo lasciano, tale condizione si sarebbe potuta scongiurare mediante l’assunzione di un semplice cucchiaio di zucchero.

Sempre stando alle indagini, gli agenti di polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici avrebbero gettato il ragazzo per terra procurandogli le lesioni toraciche, infierendo poi con calci e pugni.

Oltre agli agenti di polizia penitenziaria, vengono indagati i medici Aldo Fierro, Stefania Corbi e Rosita Caponnetti che non avrebbero curato il giovane e che lo avrebbero lasciato morire di inedia. Questi si difenderanno dicendo che era stato il giovane a rifiutare le cure.

Il 5 giugno 2013 la III Corte d’Assise condannerà in primo grado quattro medici dell’ospedale Sandro Pertini a 1 anno e 4 mesi e il primario a 2 anni di reclusione per omicidio colposo (con pena sospesa), un medico a 8 mesi per falso ideologico, mentre assolve 6 tra infermieri e guardie penitenziarie, i quali, secondo i giudici, non avrebbero in alcun modo contribuito alla morte di Cucchi.

Per i medici, dunque, il reato di abbandono di incapace viene derubricato in omicidio colposo. Il PM aveva chiesto per questi ultimi (Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti e Flaminia Bruno) pene tra i 5 anni e mezzo e i 6 anni e 8 mesi. Aveva inoltre sollecitato una condanna a 4 anni di reclusione per gli infermieri e a 2 anni per gli agenti penitenziari. Le accuse nei confronti di questi ultimi erano di lesioni personali e abuso di autorità. Sono stati assolti con la formula che richiama la vecchia insufficienza di prove.

La lettura della sentenza è stata accompagnata da grida di sdegno da parte del pubblico in aula.

Il 31 ottobre 2014, con sentenza della Corte d’appello di Roma, vengono assolti tutti gli imputati, fra cui i medici: a seguito di ciò il legale della famiglia Cucchi preannuncia un ricorso alla Corte di Cassazione, mentre la sorella Ilaria dichiara che avrebbe chiesto ulteriori indagini al Procuratore capo della Repubblica, Pignatone, e che avrebbe continuato le sue campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul caso. L’incontro tra la Cucchi e Pignatone avviene il 3 novembre e, stando alle parole della donna, il procuratore si impegna a rivedere tutti gli atti dell’indagine sin dall’inizio.

Lo stesso giorno, il sindacato di Polizia penitenziaria Sappe deposita una querela contro Ilaria Cucchi perché ella «istiga all’odio e al sospetto nei confronti dell’intera categoria di soggetti operanti nell’ambito del comparto sicurezza».

La Cassazione nell’udienza pubblica del 15 dicembre 2015, dispone il parziale annullamento della sentenza di appello, ordinando un nuovo processo per 5 dei 6 medici (in particolare il primario Aldo Fierro e gli aiuti Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis e Silvia Di Carlo), dell’Ospedale Pertini precedentemente assolti. Secondo il verdetto, gli stati patologici di Cucchi, preesistenti e concomitanti con il politraumatismo per il quale fu ricoverato, avrebbero dovuto imporre maggiore attenzione ed approfondimento da parte dei sanitari.

Il 18 luglio 2016, al termine del secondo processo d’appello disposto dalla Cassazione, la Corte d’Appello di Roma assolve i 5 medici perché “il fatto non sussiste”.

Suu espressa richiesta dei familiari, nel settembre 2015 la Procura della Repubblica di Roma riapre un fascicolo d’indagine sul caso, affidandolo al sostituto procuratore Giovanni Musarò. Le indagini si rivolgono in particolare ai carabinieri presenti nelle due caserme ove è avvenuta dapprima l’identificazione, quindi la custodia in camera di sicurezza di Stefano Cucchi, tra la sera del 15 e la mattina del 16 ottobre 2009, data dell’udienza del processo per direttissima.

Il 17 gennaio 2017, alla conclusione delle indagini preliminari, viene chiesto il rinvio a giudizio per omicidio preterintenzionale e abuso di autorità nei confronti dei militari dell’Arma dei Carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, accusati di aver colpito Cucchi con schiaffi, pugni e calci, facendolo cadere e procurandogli lesioni divenute mortali per una successiva condotta omissiva da parte dei medici curanti, e per averlo comunque sottoposto a misure restrittive non consentite dalla legge. Tedesco, insieme con Vincenzo Nicolardi e il maresciallo Roberto Mandolini, deve altresì rispondere dell’accusa di falso e calunnia, per l’omissione nel verbale d’arresto dei nomi di Di Bernardo e D’Alessandro, e per l’accusa di aver testimoniato il falso al processo di primo grado, avendo fatto dichiarazioni che portarono all’accusa di tre agenti della polizia penitenziaria per i reati di lesioni personali e abuso di autorità nei confronti di Cucchi, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009.

Il 24 febbraio 2017 sono stati sospesi dal servizio i tre militari accusati di omicidio preterintenzionale.

Nell’udienza dell’11 ottobre 2018, è emerso che uno degli imputati, Francesco Tedesco, ha ammesso l’avvenuto pestaggio di Cucchi, chiamando in causa i suoi colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. Tedesco, come risulta dal verbale di interrogatorio datato 9 luglio 2018, ha dichiarato di essere stato presente al pestaggio, ma di non avervi materialmente partecipato, avendo anzi chiesto ai suoi colleghi di smettere. Secondo la ricostruzione presentata dal PM Giovanni Musarò, Tedesco – dopo l’accaduto – aveva già segnalato il tutto in una notazione di servizio che però risulta sparita, ragion per cui il 20 giugno 2018 il militare ha presentato una denuncia in cui riferiva di quella avvenuta notazione, determinando così l’avvio di un procedimento contro ignoti nell’ambito del quale ha reso le suddette dichiarazioni circa il reale svolgimento dei fatti

Sulle vicende di Stefano Cucchi e molti altri casi simili è stato realizzato da Maurizio Cartolano il documentario “148 Stefano mostri dell’inerzia”, sponsorizzato da Amnesty International e Articolo 21, e presentato al Festival del cinema di Roma.

Qui sotto lo trovate intero:

Nel Settembre 2018 è invece uscito il film biografico Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, prodotto da Cinemaundici e distribuito da Lucky Red e Netflix, film che viene selezionato come film d’apertura della sezione “Orizzonti” alla 75ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.


22 Ottobre 1895

22 Ottobre 1895

La fine della corsa del treno espresso 56 transitante sulla linea Granville-Parigi, carico di 131 passeggeri, fu uno degli incidente più spettacolari delle ferrovie francesi.

l treno, nell’entrare nella stazione di Montparnasse, era condotto dalla locomotiva numero 721 del tipo 120 ed era manovrato da Guillaume Marie Pellerin, un macchinista al servizio delle ferrovie francesi da più di diciannove anni.
Il convoglio era composto da due vagoni per bagagli e un vagone postale che si trovavano immediatamente dietro la locomotiva, a seguire otto vagoni passeggeri ed un ultimo vagone bagagli in coda treno. Il treno partì con un ritardo di nove minuti; il macchinista sarebbe voluto arrivare in orario a Montparnasse e per questo motivo non rallentò in tempo. Il capotreno Albert Mariette azionò il freno d’emergenza Westinghouse ma esso non funzionò. Non restavano che i freni della locomotiva ma furono insufficienti. Alle quattro in punto il convoglio ruppe i respingenti, attraversò la stazione, sfondò il muro di facciata e cadde sulla fermata dei tram posta dieci metri più in basso. Tutti i vagoni passeggeri rimasero all’interno della stazione. Non vi fu alcuna vittima tra i passeggeri

La locomotiva cadde vicino ad un’edicola posta vicino alla stazione, in rue de Rennes: una passante fu ferita e Marie-Augustine Aguilard, che quel giorno sostituiva suo marito all’edicola, fu uccisa, non dalla locomotiva che passò sopra di lei senza colpirla, ma da un pezzo di muratura caduto dalla stazione[2].
Il funerale della donna fu pagato dalla compagnia ferroviaria ed ai suoi due figli fu corrisposta una rendita. Il macchinista fu condannato a due mesi di prigione e 50 franchi d’ammenda mentre il capotreno a soli 25 franchi d’ammenda.
La locomotiva restò quasi intatta; rimase quattro giorni sospesa prima che si riuscisse a disincastrarla.

Una versione romanzata dell’incidente è presente nel film Hugo Cabret del 2011 diretto da Martin Scorsese.