30 Settembre 1977

In Viale delle Medaglie d’Oro a Roma, mentre effettua un volantinaggio, il militante di Lotta Continua Walter Rossi viene ucciso a colpi di pistola da un gruppo di neofascisti usciti da una sede del Movimento Sociale Italiano.

Il giorno prima una giovane di 19 anni, Elena Pacinelli, venne colpita da tre proiettili mentre si trovava in piazza Igea in compagnia di altri aderenti al movimento di fronte ad una casa occupata nel quartiere Trionfale; a seguito dell’accaduto il giorno successivo fu organizzato un volantinaggio di protesta nel quartiere della Balduina, storica roccaforte missina della capitale.

Il gruppo di attivisti del movimento venne a trovarsi in Viale delle Medaglie d’Oro, nei pressi di una sezione del Movimento Sociale Italiano da cui uscirono alcuni militanti di estrema destra che, seguendo un sopraggiunto blindato della polizia che si trovava nelle vicinanze, avanzarono verso i manifestanti. Cominciò una sassaiola, si abbassarono le saracinesche di molti negozi, gente che scappava da tutte le parti.

Dal gruppo dei neofascisti furono sparati alcuni colpi di pistola all’indirizzo dei giovani di sinistra ed uno di questi colpì Walter Rossi alla nuca che morì prima dell’arrivo in ospedale; nell’aggressione un’altra persona fu accidentalmente colpita: un benzinaio che rimase leggermente ferito.

Nei giorni che seguirono cortei e manifestazioni di solidarietà e di protesta percorsero l’Italia, sedi missine e ritrovi fascisti vennero devastati e dati alle fiamme ed i funerali del giovane ucciso furono presenziati da circa centomila persone, le quali gli resero l’estremo saluto sulle note dell’Internazionale.
In una manifestazione di protesta per l’omicidio organizzata da Lotta Continua a Torino il 1º ottobre 1977, in seguito al lancio di alcune bombe Molotov, avvenuto nel corso di un assalto al locale “Angelo azzurro”, morì lo studente Roberto Crescenzio che, intrappolato nella toilette dell’esercizio, rimase vittima del rogo.

Nessun provvedimento venne preso a carico dei numerosi poliziotti presenti sul luogo: dieci di essi erano a bordo del furgone blindato, tre in una volante vicina ed almeno due a piedi in borghese; su di essi gravarono comunque le accuse di collusione con gli aggressori. In particolare tutti i testimoni presenti al fatto assicurarono che nulla venne fatto per fermare i neofascisti prima, durante e dopo i colpi di pistola che essi esplosero contro i manifestanti e che, viceversa, le forze dell’ordine per diversi minuti impedirono i soccorsi a Walter Rossi sia colpendo chi cercava di avvicinare il giovane agonizzante sul terreno, sia evitando di chiamare un’ambulanza.

Diciassette persone, fra cui alcuni militanti del MSI-DN, vennero arrestati nelle ore successive, tra questi Flavia Perina, futuro deputato di Alleanza Nazionale, oltre ad Andrea Insabato che, nel 2000, avrebbe compiuto un attentato contro la sede del quotidiano comunista Il Manifesto, e Riccardo Bragaglia che risultò positivo al test del guanto di paraffina, ma venne in seguito comunque prosciolto poiché al successivo test con tecnologie nucleari del CNR si scoprì che le tracce riscontrate non si riferivano a polveri da sparo, ma ad elementi tipicamente presenti in una scatola di fiammiferi, fiammiferi che il Bragaglia utilizzò per accendere delle sigarette poco prima della prova del guanto di paraffina.

Tutte le persone arrestate vennero inizialmente fermate, un’ora dopo il fatto, davanti alla sezione del Msi-Dn del quartiere della Balduina, fra le decine di curiosi che nel frattempo vi si erano raccolti; portate al commissariato di zona, venne loro chiesto di testimoniare sul fatto e qualche ora dopo venne spiccato il mandato di cattura. Dopo un lungo processo i diciassette verranno via via prosciolti dalle accuse iniziali di omicidio, tentato omicidio, adunata sediziosa, porto abusivo d’arma da guerra calibro 9 (la pistola, mai trovata, con la quale sarebbe stato ucciso Walter Rossi) e ricostituzione del PNF; per alcuni di loro resterà solo l’accusa di rissa aggravata senza, tuttavia, che alcun testimone li abbia riconosciuti nel gruppo.

Esattamente di fronte al luogo dove, secondo la ricostruzione della polizia, arrivò su viale Medaglie d’Oro il gruppo di militanti di destra, nei pressi di un’edicola distante circa 100 metri dal punto in cui il giovane venne ucciso, era in corso una festa su di una terrazza al primo piano; le numerose persone presenti, fra cui l’attore di teatro Fiorenzo Fiorentini, assistettero impotenti allo svolgersi dei fatti. Chiamati a testimoniare, con un confronto all’americana, ed a riconoscere fra i diciassette arrestati, i giovani presenti nel gruppo dei militanti di destra, nessuno dei testimoni riconobbe i fermati.

Nel 1981 alcuni pentiti indicarono nelle persone di Cristiano Fioravanti ed Alessandro Alibrandi i possibili assassini, confermando le testimonianze dei giovani di sinistra presenti al fatto; Cristiano Fioravanti, arrestato in seguito con l’accusa di appartenenza ai Nar, ammise di avere fatto parte del gruppo uscito dalla sezione del Movimento Sociale insieme ad Alessandro Alibrandi e che entrambi erano armati, attribuendo tuttavia ad Alibrandi il colpo mortale in quanto la sua arma si sarebbe inceppata impedendogli di sparare; le sue affermazioni furono successivamente confutate dalle testimonianze rese dai compagni di Walter Rossi, i quali sostennero tutti che tale colpo fu invece esploso da Fioravanti.

A seguito della morte di Alibrandi, avvenuta in uno scontro a fuoco con la polizia, il procedimento penale fu archiviato; Fioravanti venne condannato ad una pena di nove mesi e 200.000 lire di ammenda solo per i reati concernenti il possesso di arma da fuoco. La vicenda giudiziaria si è definitivamente chiusa nel 2001 con l’incriminazione di tre compagni di Walter per falsa testimonianza ed il non luogo a procedere, per non aver commesso il fatto, nei confronti di Cristiano Fioravanti, che ora vive libero, sotto altro nome, protetto dallo stato.

“Come Walter Rossi, ucciso da pallottole nere…”

Fronte Unico, L’ultimo respiro fa da testamento

30 Settembre 1975

Massacro del Circeo: Donatella Colasanti viene ritrovata nel baule di un automobile a Roma, dopo essere stata torturata e violentata per 35 ore, insieme al cadavere di Rosaria Lopez.

Rosaria Lopez (19 anni, barista) e Donatella Colasanti (17 anni, studentessa) risiedono nel quartiere popolare romano della Montagnola.

Le due ragazze conoscono tre ragazzi nel Settembre 1975 tramite un amico comune. Passano con i tre ragazzi un pomeriggio al bar della Torre Fungo dell’EUR, e sembravano gentili e corretti. In quest’occasione i giovani si accordano per ritrovarsi di lì a qualche giorno ad una festa.

I tre ragazzi erano Andrea Ghira, figlio di un imprenditore edile, Angelo Izzo, studente di medicina e Giovanni “Gianni” Guido, che studiava architettura. Erano tutti rampolli di rispettabili famiglie romane, ma avevano qualche precedente penale: Ghira e Izzo nel 1973 avevano scontato venti mesi a Rebibbia per rapina a mano armata.

Alle 18:20 del 29 Settembre Guido e Izzo arrivano con Colasanti e Lopez a Villa Moresca, uno stabile di proprietà di Andrea Ghira, sul promontorio del Circeo. Qui cominciano ad ascoltare musica, ma all’improvviso i ragazzi cominciano a fare proposte sessuali esplicite alle ragazze, che cercano di reagire.

«[…] improvvisamente, uno di loro tirò fuori la pistola. Cominciarono a dirci che appartenevano alla banda dei Marsigliesi e che Jacques, il loro capo, aveva dato l’ordine di prenderci in quanto voleva due ragazze […]»

dalla deposizione di Donatella Colasanti

Le ragazze vengono violentate, massacrate e seviziate dai tre ragazzi per un giorno e una notte, venendo insultate sia per essere donne che per essere povere.

Nel bel mezzo di queste torture Guido torna a Roma per cenare con i propri familiari, per poi tornare a violentare le ragazze.

Le ragazze vengono drogate, Rosaria Lopez viene spostata al piano superiore dove viene picchiata ancora e poi annegata nella vasca da bagno. Poi cercano di fare lo stesso con Colasanti, la percuotono mentre cercano di strangolarla con una cintura. La ragazza riesce a divincolarsi e cerca di raggiungere il telefono, ma i tre la colpiscono con una spranga di ferro.

Donatella Colasanti si finge morta. I tre ragazzi prendono i due corpi e li rinchiudono nel bagagliaio di una Fiat 127 bianca intestata al padre di Gianni Guido. Poi ripartono alla volta di Roma.

I tre scendono in Via Pola, nel quartiere romani Trieste. Vanno al ristorante. Non appena i tre se ne vanno Donatella Colasanti colpisce il baule per richiamare l’attenzione dei passanti. Alle 22:50 un metronotte si accorge dei rumori e avverte una volante dei Carabinieri.

Un fotoreporter sente il messaggio in codice della richiesta d’aiuto della pattuglia e si reca sul posto, dove riesce a fotografare il momento dell’apertura del bagagliaio.

Izzo e Guido vengono arrestati entro poche ore, mentre Ghira, messo in allarme da una soffiata, si rende latitante.


30 Settembre 1967

A Trento scoppia una bomba su un treno proveniente da Innsbruck, uccidendo il brigadiere Filippo Toti e l’agente della Polfer Edoardo Martini.

In uno scompartimento del treno direttissimo “Alpen Express” una viaggiatrice sente un tic tac sospetto e da l’allarme.

Appena il treno arriva alla Stazione di Trento il brigadiere Filippo Toti di 51 anni e l’agente della Polizia Ferroviaria Edoardo Martini di 44, salgono per prendere la valigia e la portano il più lontano possibile dai viaggiatori che riempivano la stazione.

La depositano in un’area isolata sul Marciapiede 2, dove la bomba all’improvviso esplode uccidendoli alle 14:44.

Si sospetta immediatamente il terrorismo Sud-Tirolese, l’unica testimonianza proviene dalle due donne che hanno dato l’allarme: hanno visto un giovane biondo abbandonare la valigia nello scompartimento; pista che dura molto tempo, nonostante le dichiarazioni di Livio Juculano, che nel 1969 attribuisce la bomba a Franco Freda, esponente di spicco di Avanguardia Nazionale, che verrà anche accusato della strage di Piazza Fontana (poi assolto per mancanza di prove).