19 Aprile 1968
A Valdagno (VI) un corteo di quattromila persone, di cui metà donne, abbatte la statua del fondatore della dinastia tessile cittadina: Gaetano Marzotto. Alle cariche della polizia, Valdagno brucia per una violenta sommossa.
La protesta delle lavoratrici comincia la settimana precedente con uno sciopero selvaggio, in cui gli operai e le operaie picchettano i gradini della fabbrica impedendo l’ingresso anche agli impiegati.
Il 19 Aprile viene indetto un altro sciopero, ma sui gradoni della fabbrica ci sono i carabinieri già dalle 7 di mattina.
Gli animi si scaldano in fretta, e un brigadiere dei carabinieri in borghese comincia a picchiare gli operai con una catena con lucchetto. Cominciano le cariche; da una parte le catene, dall’altro un lancio di uova.
Alle 9:15 arriva la celere e cerca di disperdere la folla con i lacrimogeni e pasanti cariche, la situazione sembra calmarsi.
Alle 14 però esce il direttore amministrativo della Marzotto, il padrone della fabbrica. Alla sua vista la folla impazzisce: sfonda i cancelli e riesce a sfondarli.
Due operai vengono arrestati, e i sindacati, senza consultare gli operai, cercano di trattare il rilascio con la promessa di sciogliere la manifestazione.
La folla insorge, cominciano scontri violenti con la polizia: cariche e nuovi lanci di lacrimogeni, a cui gli operai rispondono con un fitto lancio di sassi. Nel frattempo i manifestanti girano per la città con un auto munita di altoparlante per invitare i cittadini a scendere in piazza in solidariertà degli operaio e delle operaie.
Molti studenti, tra cui anche alcuni ragazzini provenienti dall’Università di Sociologia di Trento, aderiscono: la statua di Marzotto, fondatore della fabbrica, viene abbattuta.
La rivolta viene sedata intorno alle 22 con l’arrivo dei caschi blu da Padova: arresteranno 200 operaio e disperderanno la folla con bombe lacrimogene e anche con vere e proprie bombe a mano.
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