16 Dicembre 1989

16 Dicembre 1989

A Timișoara inizia la rivoluzione romena del 1989, come protesta contro il tentativo del governo di espellere il sacerdote riformato dissidente, László Tőkés.

La Rivoluzione romena del 1989 (Revoluția Română din 1989) fu una successione di eventi e di proteste che, sul finire del 1989, portarono al crollo, in Romania, del regime comunista guidato del dittatore Nicolae Ceaușescu. Le proteste, sempre più violente, raggiunsero il culmine con il processo e l’esecuzione di Ceaușescu e della moglie Elena.

Negli altri paesi del blocco comunista dell’Europa orientale il passaggio alla democrazia avveniva in quegli anni in modo pacifico: la Romania fu l’unico Stato del Patto di Varsavia nel quale la fine del regime ebbe luogo in modo violento.

Il 16 dicembre ebbe luogo a Timișoara una manifestazione di protesta al tentativo del governo rumeno di espellere un dissidente ungherese, il pastore riformato László Tőkés. Il pastore aveva recentemente criticato il regime tramite i mass media stranieri e il governo considerò il gesto come un incitamento ai conflitti etnici. Su richiesta del governo, l’episcopato rimosse Tőkés dal sacerdozio, privandolo così del diritto di utilizzare l’appartamento legittimamente ottenuto in quanto pastore. Per qualche giorno i fedeli di Tőkés si radunarono intorno alla sua abitazione per proteggerlo. Molti passanti, compresi anche studenti religiosi, si associarono alla protesta, inizialmente senza conoscere i veri motivi e scoprendo solo in seguito che era contro un nuovo tentativo del regime comunista di reprimere la libertà religiosa.

Quando fu evidente che la massa non si sarebbe dispersa, il sindaco Petre Moț dichiarò che avrebbe riconsiderato l’espulsione di Tőkés. Ma nel frattempo la folla era notevolmente aumentata e, quando Moț rifiutò di confermare per iscritto la dichiarazione contro l’espulsione del pastore, i manifestanti iniziarono a cantare slogan anticomunisti. Le forze dell’esercito (Miliția) e della Securitate, chiamate per bloccare la protesta, nulla poterono di fronte all’imponente numero di manifestanti. Alle 19.30 la protesta si era estesa e la causa iniziale stava passando in secondo piano. Alcuni protestanti tentarono di incendiare l’edificio che ospitava il comitato distrettuale del Partito Comunista Rumeno (PCR). Fu a questo punto che la Securitate rispose con il lancio di lacrimogeni e getti d’acqua, mentre la Miliția caricò i manifestanti, procedendo all’arresto di diverse persone. La massa si spostò verso la Cattedrale Metropolitana e da qui continuò ad avanzare per le vie di Timișoara, nonostante nuove cariche delle forze dell’ordine.

Le proteste continuarono anche il 17 dicembre. Alcuni manifestanti riuscirono a penetrare nella sede del comitato distrettuale e gettarono dalle finestre dell’edificio documenti del partito, brochure di propaganda, scritti di Ceaușescu e altri simboli del potere comunista. Quindi tentarono nuovamente di incendiare l’edificio, ma questa volta furono fermati da unità militari. Il significato della presenza dell’esercito sulle strade era chiaro: gli ordini provenivano direttamente dall’alto, probabilmente dallo stesso Ceaușescu. Nonostante l’esercito avesse fallito nel tentativo di ristabilire l’ordine, la situazione a Timișoara era divenuta drammatica: spari, vittime, risse, automobili in fiamme, TAB che trasportavano forze della Securitate e carri armati. Alle 20.00 si stava ancora sparando tra la Piazza della Libertà e l’Opera, specie nelle zone del ponte Decebal, Calea Lipovei e Calea Girocului. Carri armati, camion e TAB bloccavano l’accesso alla città mentre gli elicotteri sorvegliavano la zona. Dopo mezzanotte le proteste cessarono. I generali della Miliția Ion Coman, Ilie Matei e Ștefan Gușă ispezionarono la città, che sembrava uno scenario di guerra, con edifici distrutti, cenere e sangue.

Il mattino del 18 dicembre il centro era sorvegliato da soldati e agenti della Securitate in borghese. Il sindaco Moț sollecitò una riunione del Partito all’Università, allo scopo di condannare il “vandalismo” dei giorni precedenti. Decretò anche l’applicazione della legge marziale, vietando alla popolazione di circolare in gruppi più numerosi di 2 persone. Sfidando i divieti, un gruppo di 30 giovani avanzarono verso la Cattedrale ortodossa, dove fluttuarono bandiere rumene cui era stato tagliato lo stemma comunista. Immaginando di venire crivellati dai fucili della Miliția, i 30 manifestanti iniziarono a cantare “Deșteaptă-te, Române!” (l’attuale inno nazionale rumeno), all’epoca vietato dal 1947 e la cui esecuzione in pubblico era punita dal codice penale. I militari, raggiunti i giovani, fecero immediatamente partire una raffica di mitra che uccise alcuni di loro, ferendone gravemente altri. Solo pochi fortunati riuscirono a fuggire, mettendosi in salvo.

Il 19 dicembre, gli inviati del governo Radu Bălan e Ștefan Gușă visitarono i lavoratori delle fabbriche di Timișoara, ormai entrati in sciopero, ma fallirono nel tentativo di farli tornare a lavorare. Il 20 dicembre massicce colonne di lavoratori entrarono in città: oltre centomila protestanti occuparono la Piazza dell’Opera e iniziarono a urlare slogan anti-governativi. Nel frattempo Emil Bobu e Constantin Dăscălescu furono designati da Elena Ceaușescu (il marito si trovava in quel momento in visita ufficiale in Iran) per incontrare una delegazione dei manifestanti: di lì a poco il confronto avvenne, ma i due rifiutarono di ascoltare le rivendicazioni del popolo e la situazione rimase immutata. Il giorno successivo, treni carichi di lavoratori delle fabbriche dell’Oltenia (regione storica della Romania meridionale) raggiunsero Timișoara: il regime aveva cercato di usarli per affogare la protesta, ma alla fine anche costoro si associarono agli altri manifestanti.