6 Dicembre 2007

Nello stabilimento ThyssenKrupp di Torino otto operai vengono coinvolti in un’esplosione che causerà la morte di sette di loro.

Nella notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007 gli addetti alla linea 5 (ricottura e decapaggio) dello stabilimento di Torino sono in attesa di riavviare l’impianto dopo un fermo tecnico per manutenzione. Trentacinque minuti dopo la mezzanotte l’impianto viene riavviato. In prossimità della raddrizzatrice, un irregolare scorrimento del nastro contro la carpenteria metallica (causato da una non precisa centratura del nastro stesso) produce un forte attrito che innesca prima delle scintille e quindi un incendio dovuto principalmente alla presenza di carta intrisa di olio. Sulla linea c’è infatti molta carta imbevuta di olio (fuoriuscito dai circuiti oleodinamici usurati e/o proveniente dalla laminazione) in quanto in impianti di tale tipo la carta serve a proteggere il nastro di acciaio, che è arrotolato su sé stesso in bobina. Durante le fasi di lavorazione del nastro la carta viene rimossa, ma tale dispositivo nella linea 5 non funziona a dovere e la carta (anche perché riutilizzata più volte) spesso si strappa accumulandosi nel reparto.

L’addetto alla linea, resosi conto delle fiamme, si reca di corsa verso la sala di controllo per dare l’allarme: tutto il personale si precipita quindi a tentare di spegnere l’incendio. Vengono prelevati gli estintori presenti lungo la linea, ma il loro impiego non riuscirà a domare le fiamme; l’incendio si alimenta a causa della carta intrisa d’olio, della segatura, utilizzata sempre per assorbire l’olio, e di altra sporcizia. Si pensa allora di servirsi delle manichette antincendio e, mentre l’unico sopravvissuto (Antonio Boccuzzi) è in attesa del nulla osta poter aprire l’acqua (i colleghi stanno completando l’operazione di srotolamento delle manichette), le fiamme danneggiano un tubo flessibile dell’impianto idraulico oleodinamico da cui fuoriesce dell’olio ad alta pressione nebulizzato, che immediatamente si incendia come una grande nube (fenomeno del flash fire) investendo sette lavoratori. Uno di loro, Antonio Schiavone, che aveva cercato di spegnere l’incendio passando dietro all’impianto, morirà poco dopo sul luogo dell’incidente, gli altri sei moriranno nel giro di un mese, mentre Boccuzzi subirà ferite non gravi.

Critiche all’azienda verranno sollevate da più parti, sia perché alcuni degli operai coinvolti nell’incidente stavano lavorando da 12 ore, avendo quindi accumulato 4 ore di straordinario, sia perché secondo le testimonianze di alcuni operai i sistemi di sicurezza non funzionarono (estintori scarichi, idranti inefficienti, mancanza di personale specializzato).

L’incidente ha causato la morte di sette degli otto operai coinvolti, deceduti tutti nel giro di 30 giorni dai fatti:

  • Antonio Schiavone, 36 anni, deceduto il 6 dicembre 2007, nel luogo dell’incidente
  • Roberto Scola, 32 anni, deceduto il 7 dicembre 2007
  • Angelo Laurino, 43 anni, deceduto il 7 dicembre 2007
  • Bruno Santino, 26 anni, deceduto il 7 dicembre 2007
  • Rocco Marzo, 54 anni, deceduto il 16 dicembre 2007
  • Rosario Rodinò, 26 anni, deceduto il 19 dicembre 2007
  • Giuseppe Demasi, 26 anni, deceduto il 30 dicembre 2007

6 Dicembre 1990

6 Dicembre 1990

Un aereo militare fuori controllo vagante per i cieli di Bologna precipita sull’istituto superiore Salvemini di Casalecchio di Reno. Dodici ragazzi di sedici anni muoiono sul colpo, altri 4 restano gravemente feriti. Della strage nessuno sarà ritenuto colpevole.

Un aviogetto da addestramento Aermacchi MB-326 partito dall’aeroporto di Verona-Villafranca perde il controllo sopra l’abitato di Casalecchio. Il pilota, il tenente Bruno Viviani, resosi conto che l’aereo si è reso ingovernabile utilizza il dispositivo di espulsione di emergenza e il velivolo va a schiantarsi contro una scuola, la succursale dell’Istituto Tecnico Salvemini.

L’aereo colpisce la classe 2ª A, uccidendo sul colpo dodici studenti quindicenni e ferendone gravemente quattro e l’insegnante. Il combustibile fuoriuscito prende fuoco, incendiando l’edificio.

Oltre ai dodici morti, vi furono 88 ricoveri, e 72 feriti riportarono invalidità permanenti in misura variabile tra il 5 e l’85 per cento.

L’inchiesta successiva all’incidente non riesce a stabilire immediatamente la causa dell’accaduto: vengono avanzate le ipotesi di un guasto meccanico, o di un malore al pilota. Alla fine la causa risulta essere un guasto tecnico, già rilevato prima del passaggio su Ferrara.

Dopo l’incidente viene sollevata l’obiezione che in seguito al guasto, il pilota avrebbe dovuto tentare un atterraggio di fortuna a Ferrara, o puntare verso il mare.
La strage suscita anche un dibattito sull’opportunità di impedire ai velivoli militari il sorvolo dei centri abitati, che però finisce in un nulla di fatto.

Viene istruito un processo per il pilota, tenente Bruno Viviani, per il suo superiore, comandante Eugenio Brega e per l’ufficiale della torre di controllo di Villafranca, colonnello Roberto Corsini. I tre militari vengono difesi dall’Avvocatura di Stato, fatto che suscita polemiche da parte dell’Associazione studenti ed ex-studenti del Salvemini, perché nonostante anche le vittime si fossero trovate all’interno di una scuola di proprietà dello Stato, il Ministero della Pubblica Istruzione non richiede il medesimo servizio.

In giudizio di primo grado i tre imputati vengono condannati per disastro aviatorio colposo e lesioni, e al Ministero della Difesa vengono imputati i danni per responsabilità civile.
La sentenza di secondo grado della Corte d’Appello di Bologna ribalta la sentenza, e assolve i militari.

Il 26 gennaio 1998 la 4ª Sezione della Corte di Cassazione di Roma rigetta gli ultimi ricorsi dei familiari delle vittime e conferma l’assoluzione per tutte le parti coinvolte perché “il fatto non costituisce reato”.