28 Marzo 1998

28 Marzo 1998

Si suicida in carcere Baleno, Edoardo Massari, attivista anarchico.

Edoardo Massari (detto Baleno) nasce il 4 aprile 1963 in una famiglia operaia originaria di Brosso (Valchiusella), nel Canavese (Piemonte). Sin da adolescente frequenta i centri sociali piemontesi, cominciando con El Paso, primo centro sociale anarco-punk torinese, dove sarà coniato il suo soprannome: Baleno.

Particolarmente attivo, partecipa a diverse iniziative degli squatters, anche fuori Piemonte: ad Aosta con il collettivo Piloto Io, a Roma con gli occupanti in Piazza dei Siculi, ad Alessandria al Forte Guercio, a Cuneo al Kerosene Occupato e alla Scintilla di Modena.

Nel 1991, ad Arè, vicino Caluso (T=), è tra gli occupanti della piscina comunale, che però viene ben presto sgomberata. Per contestare l’azione repressiva, gli squatters prendono possesso del palazzo del municipio di Caluso, ricevendone in cambio una denuncia. Baleno, che come forma di protesta estrema ed iconoclasta defecherà pubblicamente sulla bandiera italiana, riceve per tutti questi fatti una prima condanna a 7 mesi e 15 giorni per «interruzione di pubblico servizio e oltraggio a pubblico ufficiale».

La sera del 19 giugno 1993, mentre Edoardo sta lavorando alla saldatura di alcuni pezzi di motorini e biciclette, esplode la bomboletta del gas che gli serviva per gonfiare le ruote (probabilmente l’eccessivo calore è la causa dell’esplosione). Edoardo Massari si ferisce leggermente ad un braccio, si reca al pronto soccorso, ma quando torna a casa trova la polizia ad attenderlo. Viene arrestato e denunciato per fabbricazione di ordigni esplosivi. Dopo 6 mesi di detenzione preventiva, scioperi della fame e manifestazioni varie, Edoardo Massari viene condannato a 2 anni e 8 mesi. Successivamente gli infliggeranno una nuova pena di 4 mesi per oltraggio nei confronti di una guardia carceraria, un atto compiuto durante la detenzione preventiva.

Uscito dal carcere nel dicembre 1996, va ad abitare all’Asilo Occupato di via Alessandria, a Torino. Ai primi di settembre del 1997, Baleno, insieme tra gli altri ai compagni ed amici Silvano Pelissero e Maria Soledad Rosas (Sole), si trasferisce alla Casa di Collegno, che si trova all’interno del parco del manicomio di Collegno (occupato dal 1996).

Durante una vacanza alle Isole Canarie, tra Sole e Baleno nasce l’amore. La felicità però dura poco: il 5 marzo 1998 Silvano Pelissero, Edoardo Massari e l’argentina Maria Soledad Rosas, vengono tutti arrestati. L’accusa, abilmente orchestrata grazie anche al contributo decisivo dei media nazionali, è quella di appartenere ad una fantomatica organizzazione eco-terrorista, i “Lupi Grigi”, responsabile di una serie di attentati in Val Susa contro la linea ad alta velocità Torino-Lione.

All’alba di sabato 28 marzo, secondo la versione ufficiale, Edoardo Massari viene trovato agonizzante, impiccato con le lenzuola alla sua branda del carcere torinese delle Vallette. L’11 luglio si suiciderà anche la sua amata Maria Soledad Rosas.

28 Marzo 1943

28 Marzo 1943

Nel Porto di Napoli scoppia un incendio sulla Caterina Costa carica di esplosivi. Nell’esplosione conseguente muoiono 600 persone.

La Caterina Costa è grande e moderna motonave da carico – una delle migliori costruite in Italia al tempo – di 8.060 tonnellate di stazza lorda, completata nel 1942 per l’armatore genovese Giacomo Costa.

Il 21 ottobre 1942 viene requisita dalla Regia Marina e, in virtù delle sue caratteristiche, adibita al trasporto dei rifornimenti sulla rotta più importante, quella per il Nord Africa. Compie quattro viaggi su questa tratta; il 26 dicembre 1942 rimane danneggiata in un attacco aereo su Biserta.

Il 28 marzo 1943 si trova ormeggiata nel porto di Napoli, nella zona prospiciente il Rione di Sant’Erasmo, carica di materiale bellico destinato alle forze armate italiane dislocate in Tunisia.

A bordo è appena stato completato il caricamento dei rifornimenti:

  • 790 tonnellate di carburante;
  • 900 tonnellate di esplosivi;
  • 1.700 tonnellate di munizioni;
  • carri armati ed autocingolati;
  • 43 cannoni a lunga gittata;
  • fucili;
  • circa 600 militari italiani e tedeschi;
  • viveri;

Nella prima mattinata si sviluppa a bordo un incendio, non si sa tuttora se accidentale o doloso, che non può essere domato e che porta, alle 17:39, all’esplosione del carico e della nave stessa.

Un giornalista de il Mattino di Napoli, Roberto Ciuni, ne scrive la cronaca:

«Napoli si sveglia ai primi scoppi provocati dalla benzina che si sparge, ardendo, sull’acqua del porto. Buona parte dell’equipaggio si mette in salvo sulla banchina, a cominciare dal comandante della stessa nave, ma i soldati, addormentati sotto coperta, trovano le vie di fuga sbarrate dal fuoco: dei cento italiani alloggiati a poppa non si salva nessuno. Non si tratta di attacco aereo, quindi niente sirene d’allarme. I napoletani sentono le deflagrazioni, vedono pennacchi di fumo, odono le ambulanze che vanno avanti e indietro. Alla direzione dei Vigili del Fuoco l’allarme arriva dieci minuti dopo le due del pomeriggio: in banchina, l’ingegnere Tirone, dirigente dei VV.F. capo delle operazioni di soccorso, trova il comandante della nave che lo mette in guardia: sulla «Caterina Costa» c’è un carico di bombe che può scoppiare da un momento all’altro, consiglia di affondarla. Di fronte al rischio, Tirone ritira la sua squadra impegnata a cercare di spegnere l’incendio. Alle 15:00 un colonnello della Capitaneria di Porto sostiene che non c’è pericolo. Un’ora dopo un maggiore della stessa Capitaneria di Porto informa che non è possibile affondare la nave dato che già tocca il fondo. Alle 17:39, al termine di una giornata dove si sono mescolate leggerezze inaudite da parte di tutti i dirigenti coinvolti, incapacità tecniche dei responsabili militari, ritardi nel chiedere soccorsi adeguati, la «Costa» salta in aria: le fiamme hanno raggiunto la stiva numero due, quella dell’esplosivo. La banchina sprofonda; un pezzo di nave piomba su due fabbricati al Ponte della Maddalena abbattendoli; la metà d’un carro armato cade sul tetto del Palazzo Carafa di Montorio; i Magazzini Generali del porto prendono fuoco; alla Stazione Centrale le schegge appiccano incendi ai vagoni in sosta. Il Lavinaio, il Borgo Loreto, l’Officina del Gas, i Granili, la Caserma Bianchini, la Navalmeccanica, l’Agip: dovunque arrivano lamiere mortali. E dovunque, vetri rotti, porte e finestre sfondate, cornicioni sbriciolati dall’esplosione. Per spegnere l’incendio sul relitto i vigili dovranno lavorare fino all’indomani. Le vittime saranno 549; i feriti, oltre tremila. Tra questi il vice comandante della Capitaneria di Porto ripescato a mare. Se la «Costa» è la prima nave a saltare in aria senza intervento nemico, diverse altre sono state incendiate e affondate durante i bombardamenti, fin dal 20 febbraio, quando le Fortezze Volanti hanno centrato il piroscafo «Caserta». Altre ancora coleranno a fondo nei prossimi mesi. Alla fine le condizioni del porto saranno tali che gli Alleati entreranno in città portandosi un tecnico addestrato alla bonifica di moli, attracchi e bacini sconquassati dalla guerra: l’ingegnere inglese I.A.V. Morse in divisa di contrammiraglio. Sarà lui a far pulizia di relitti e macerie.»

L’esplosione è devastante: il molo sprofonda e tutt’intorno un gran numero di edifici vengono distrutti o gravemente danneggiati. I rimorchiatori Cavour e Oriente vengono investiti dallo scoppio e affondano, mentre parti roventi di nave e di carri armati vengono scagliate a grande distanza, finendo in Via Atri e Piazza Carlo III.

Altri frammenti raggiungono piazza Mercato e il Vomero ed altri ancora incendiano la stazione Centrale; sulla facciata est del Maschio Angioino (Castel Nuovo) sono ancora visibili gli effetti di questa terribile esplosione.

Gli oltre 600 morti e gli oltre 3.000 feriti riempiono letteralmente le strade. Tra le vittime del disastro c’è l’ammiraglio Lorenzo Gasparri, comandante del Gruppo Cacciatorpediniere della Squadra Navale, il quale era salito personalmente, insieme ai suoi uomini, su delle bettoline cariche di munizioni per allontanarle dalla Caterina Costa in fiamme, in modo da evitare che tali imbarcazioni, investite dalle esplosioni, amplificassero l’effetto del disastro; l’evento temuto si verifica, però, prima che sia possibile completare tale opera, e Gasparri rimane ucciso nell’esplosione.

Alla sua memoria verrà conferita la Medaglia d’oro al Valor Militare.