30 Aprile 1978
Mario Moretti telefona a Eleonora Moro per cercare di dare una svolta alle trattative per la liberazione di Aldo Moro.
Anche la DC opta per la “Linea Dura”. Nei giorni successivi, la medesima fermezza verrà adottata dalle segreterie dei cinque partiti della maggioranza di governo.
La chiamata di Mario Moretti avviene alle 16:30 da una cabina telefonica nei pressi della Stazione Termini, mentre Adriana Faranda, Valerio Morucci e Barbara Balzerani sono di copertura.
Una mossa arrischiata (dato che il telefono di casa Moro è ovviamente tenuto sotto controllo dalla polizia) e altrimenti incomprensibile. Moretti dice alla figlia di Moro, che risponde al telefono:
«Io sono uno di quelli che hanno a che fare con suo padre… Le devo fare un’ultima comunicazione, questa telefonata è per puro scrupolo. Siete stati un po’ ingannati e state ragionando sull’equivoco. Finora avete fatto soltanto cose che non servono assolutamente a niente. Ma crediamo che ormai i giochi siano fatti e abbiamo già preso una decisione. Nelle prossime ore non possiamo fare altro che eseguire ciò che abbiamo detto nel comunicato numero 8. Quindi chiediamo solo questo: che sia possibile l’intervento di Zaccagnini, immediato e chiarificatore in questo senso. Se ciò non avviene, rendetevi conto che non potremmo fare altro che questo. Mi ha capito esattamente? Ecco, è possibile solo questo. L’abbiamo fatto semplicemente per scrupolo, nel senso che, sa, una condanna a morte non è una cosa che si possa prendere alla leggera. Noi siamo disposti a sopportare le responsabilità che ci competono, e vorremmo appunto, siccome sono stati zitti… non siete intervenuti direttamente, perché mal consigliati… Il problema è politico, e a questo punto deve intervenire la DC. Abbiamo insistito moltissimo su questo, è l’unica maniera in cui si può arrivare a una trattativa. Se questo non avviene… solo un intervento diretto, immediato, chiarificatore, preciso di Zaccagnini può modificare la situazione. Noi abbiamo già preso una decisione, nelle prossime ore accadrà l’inevitabile. Non possiamo fare altrimenti. Non ho nient’altro da dirle».
L’intrepido Moretti è fino alla fine il padrone assoluto del sequestro. I tre brigatisti della presunta “prigione” di via Montalcini continuano a svolgere diligentemente le loro mansioni: di copertura la Braghetti e Maccari, di guardiano del prigioniero Gallinari. I due brigatisti “postini”, la coppia Morucci e Faranda, continuano a ubbidire a Moretti recapitando i comunicati Br e le lettere di Moro che lui gli dà, e autorizzati da Moretti tengono contatti con i capi di Autonomia operaia Lanfranco Pace e Franco Piperno (i quali a loro volta sono in contatto con la segreteria del Psi per la pseudotrattativa “umanitaria”). Il Comitato esecutivo brigatista è più che mai un organismo-fantasma puramente formale che in sostanza ratifica l’operato di Moretti. Il capo brigatista è il crocevia del sequestro, il dominus dell’intera operazione: è lui che ha “interrogato” il prigioniero dopo avergli fornito le domande (scritte non si sa da chi), e che ha prelevato personalmente dalla prigione le risposte manoscritte di Moro; è lui che ha esaminato le circa 100 lettere scritte dal prigioniero, è lui che ha stabilito di recapitarne solo 30 censurando tutte le altre 9; è lui che tiene i contatti col Comitato esecutivo, è lui che dirige, dà gli ordini, fa e disfa – Moretti è il solo brigatista che sa tutto, e per il quale non vale la regola della compartimentazione.
- Silvana Mazzocchi. Nell’anno della Tigre – Storia di Adriana Faranda
- Sergio Flamigni, La sfinge delle Brigate Rosse. Delitti, segreti e bugie del capo terrorista Mario Moretti.
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