4 Ottobre 1978
Il generale Dalla Chiesa si incontra con il giornalista Mino Pecorelli.
Tre giorni dopo il blitz milanese in via Monte Nevoso – il generale Dalla Chiesa si incontra col giornalista Mino Pecorelli, direttore-fondatore del periodico “Op”.
Iscritto alla P2 e da anni in stretti rapporti con settori dei servizi segreti, Pecorelli è una spina nel fianco del potere politico romano, specialmente di quello andreottiano: attraverso “Op” pubblica dossier riservati e notizie scabrose, anticipando scandali e rivelando manovre e intrighi di potere.
Dopo l’incontro del 4 ottobre con Dalla Chiesa, Pecorelli comincia a pubblicare una serie di articoli pesantemente allusivi sul delitto Moro, insinuando il vero: cioè che le carte di Moro trovate nel covo Br di via Monte Nevoso siano state “manipolate” e “censurate” dai carabinieri in quanto contenenti “segreti di Stato”, come in effetti è avvenuto. Il direttore di “Op” si sofferma più volte anche sulle Br e sul loro imprendibile capo:
«L’obiettivo primario [del sequestro Moro] è senz’altro quello di allontanare il Partito comunista dall’area di potere nel momento in cui si accinge all’ultimo balzo, alla diretta partecipazione al governo del Paese. È un fatto che si vuole che ciò non accada. Perché è comune interesse delle due superpotenze mondiali mortificare l’ascesa del PCI, cioè del leader dell’eurocomunismo, del comunismo che aspira a diventare democratico e democraticamente guidare un Paese industriale… È Yalta che ha deciso via Mario Fani»
«Le Br non rappresentano il motore principale del missile, esse agiscono come motorino per la correzione della rotta dell’astronave Italia».
«Ma torneremo a parlare… Perché Cossiga era convinto, crediamo (?), che Moro sarebbe stato liberato e forse la mattina che il presidente è stato ucciso, [Cossiga] era insieme a altri notabili DC a piazza del Gesù in attesa che arrivasse la comunicazione che Moro era libero. Moro invece è stato ucciso. In macchina. A questo punto vogliamo fare anche noi un po’ di fantapolitica. Le trattative con le BR ci sarebbero state. Come per i feddayn. Qualcuno però non ha mantenuto i patti. Moro, sempre secondo le trattative, doveva uscire vivo dal covo (al centro di Roma? Presso un comitato? Presso un santuario?), i “carabinieri” (?) avrebbero dovuto riscontrare che Moro era vivo e lasciar andare via la macchina rossa. Poi qualcuno avrebbe giocato al rialzo, una cifra inaccettabile perché si voleva comunque l’anticomunista Moro morto, e le BR avrebbero ucciso il presidente della Democrazia cristiana in macchina, al centro di Roma, con tutti i rischi che una simile operazione comporta. Ma di questo non parleremo, perché è una teoria cervellotica campata in aria. Non diremo che il legionario si chiama “DC” e il macellaio Maurizio».
«E a proposito di via Gradoli, è stato ammesso ufficialmente che, alla segnalazione, la polizia si precipitò a Gradoli e non a via Gradoli a Roma. Basta questo per mettere sotto processo gli inetti a quali era stata affidata la vita di un uomo? E che dire della conoscenza, prima di marzo, della tipografia di via Pio Foà dove manovrava, con macchine offset, inchiostro e carta, il signor Mario Moretti, alias ing. Borghi di via Gradoli, nonché il correttore delle lettere di Aldo Moro scritte nel carcere del popolo!… Del caso Moro si sa ben poco; si pensa e si intuisce che gli elementi più attivi e più pericolosi della organizzazione eversiva ancora latitanti, abbiano potuto prendere parte all’operazione di via Fani e alle fasi successive a cominciare da Mario Moretti, forse Prospero Gallinari e gli altri. Ma niente di più. Da allora è stata ridimensionata l’attività di un’organizzazione che in caso contrario avrebbe forse dilagato con chissà quali conseguenze. Tutte le operazioni portate a termine, prima e dopo l’incarico al gen. Dalla Chiesa, hanno consentito di controllare e limitare l’attività; ma il colpo al cuore dell’organizzazione ancora non c’è stato»
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