15 Dicembre 1976
A Sesto San Giovanni (Milano), il brigatista Walter Alasia uccide il vicequestore Vittorio Padovani e il maresciallo Sergio Bezzega, ma rimane ucciso a sua volta.
Alle prime ore dell’alba del 15 Dicembre in Via Leopardi a Sesto San Giovanni dieci poliziotti si appostano agli angoli di un caseggiato popolare che dà sulla strada. Fa freddo, fuori è ancora buio. Altri cinque uomini infilano la scala G, si fermano sul primo pianerottolo davanti a una porta con una targhetta d’ottone con scritto «Alasia». Due hanno giubbotto e maschera antiproiettile, gli altri tre indossano soltanto un cappotto: sono Vito Plantone e Sergio Bazzega dell’antiterrorismo e Vittorio Padovani, commissario di Sesto San Giovanni. Hanno un mandato di perquisizione per Walter Alasia, ex studente, vent’anni, famiglia operaia. Suonano, un trillo secco. «Polizia, aprite» e bussano col calcio dei fucili alla porta di casa.
Secondo il racconto della sorella, la madre va a vedere chi è alla porta, pensando inizialmente ad uno scherzo di qualche amico di Walter, e quindi che la polizia stia cercando il figlio per la sua renitenza alla leva.
Poi chiama il padre che nell’agitazione creatasi non riesce a trovare le chiavi di casa.
Ad aprire la porta è un uomo in pigiama, capelli bianchi. È Guido Alasia, il padre di Walter. In fondo al breve corridoio c’è la madre, Ada Tibaldi, in camicia da notte. Entra Sergio Bazzega, va verso l’ultima porta sulla destra seguito da Vittorio Padovani. Walter Alasia è già in piedi accanto al letto del fratello Oscar che di anni ne ha ventitre. Rivoltella in pugno, scosta la porta, allunga il braccio e spara sui due poliziotti un intero caricatore. Poi richiude, ricarica l’arma, indossa i pantaloni e il giubbotto, si avvicina alla finestra del balcone, alza la tapparella e si butta in cortile, il salto è poco più alto di un metro.
Parte una raffica. Colpito alle gambe Walter Alasia cade, resta raggomitolato sulla ghiaia. Passa qualche minuto, si avvicina la sirena di un’ambulanza. Esplodono gli ultimi colpi. È un solo proiettile che uccide Walter Alasia.
Nel conflitto a fuoco rimangono uccisi in casa Sergio Bazzega, 32 anni, maresciallo dell’antiterrorismo, il vicequestore di Sesto San Giovanni Vittorio Padovani, di 47 anni e lo stesso Alasia, colpito in cortile, dove sta fuggendo dopo essere saltato da una finestra, mentre i genitori, secondo il racconto della madre, sono tenuti sotto la minaccia delle armi da parte delle forze dell’ordine.
Secondo quanto è scritto da chi ne condivideva le idee, Alasia si trovava in casa perché «nei giorni della più dura repressione cerca dove dormire, ma tutte le porte si chiudono o lui non si fida più di nessuno»
I militanti dei Comitati Comunisti Rivoluzionari lo onoreranno così dalle pagine di «Lotta Continua» il giorno del suo funerale:
«La lotta di classe è fatta anche di morti, come di morti è fatto il mondo del lavoro salariato a cui siamo costretti per vivere (sei operai ogni giorno muoiono sul luogo di lavoro). A volte muoiono anche i nemici degli operai. Ognuno piange i suoi […]. Il vero terrorismo è quello economico che fanno i padroni, è quello della stampa, è quello che cinquanta poliziotti armati di mitra hanno fatto a Sesto […]. Il terrorismo l’ha fatto la polizia nei confronti di tutti noi. Walter ha risposto col fuoco: possiamo essere d’accordo o no con lui, ma il terrorismo contro gli operai non è stato il suo, ma quello dello Stato e dei suoi uomini armati, è quello che si attua con scioperi come quello di oggi, che mettono operai e padroni insieme per difendere solo il potere e chi lo detiene; cioè quelli che nella storia passata e di oggi ammazzano operai e contadini in lotta. Salutiamo il compagno Walter, militante comunista».
È dal 1962 che gli Alasia abitano lì. Ada e Guido, genitori di Walter, sono originari di Nole, in Piemonte. Lui lavora in una media impresa, l’Ortofrigor, come operaio specializzato, modellista; lei decide proprio in quel periodo di lasciare i bambini con la suocera a casa, e di lavorare alla sapsa, del gruppo Pirelli. È una storia che parla del lavoro in fabbrica, degli orari, del cottimo, degli scioperi e delle difficoltà dell’industria italiana. Ada e Guido fanno parte della CGIL e delle commissioni operaie interne alle fabbriche dove lavorano. Poi arriva il ’69, le lotte operaie, e mentre Walter cresce quelle lotte arrivano anche alle scuole medie, protagonisti il movimento studentesco della Statale di Milano e poi Lotta Continua. Walter è un ragazzo come tanti. Fa parte dei comitati studenteschi, partecipa ai tentativi di occupazione, poi si stufa e lascia la scuola, ma non la politica. Cambia diversi lavori, ma ciò non preoccupa tanto i genitori, fra un po’ dovrà partire militare, poi magari gli troveranno qualcosa lì dove lavora il padre, magari come modellista. Walter ha una certa inclinazione per il disegno, all’inizio lo avevano mandato a Milano, in una scuola per cartellonisti. Non era andata bene e lui aveva preferito frequentare l’ITIS di fronte casa, lì a Sesto.
Walter scriveva alla cugina a Nole e le mandava alcuni libri fra cui Omaggio alla nuova Resistenza, una fotocronaca di quel che era avvenuto a Milano fra il 16 aprile 1975, giorno dell’omicidio di Claudio Varalli, studente di diciassette anni ucciso a rivoltellate da un neofascista, e il 21 aprile 1975, giorno dei funerali di un altro studente, Giannino Zibecchi, travolto da un camion dei carabinieri durante i disordini scoppiati due giorni prima in corso XXII Marzo, vicino alla sede del MSI. Nella fotocronaca, immagini di cortei, scontri con la polizia, agenti schierati con lo scudo di plexiglas ai piedi, giovani acquattati dietro le automobili, i bastoni in pugno e il fazzoletto alla bocca: «L’altro libro te lo mando per farti vedere come vivo io a Milano, o perlomeno dov’ero nei giorni dal 16 aprile al 21 aprile 1975. Capirai che ho poco tempo per imparare a ballare!».
Walter era stato scoperto quando furono trovati i suoi occhiali in una base brigatista a Pavia. Il mandato di cattura per associazione sovversiva e banda armata resta ineseguito. Il telefono di casa Alasia viene messo sotto controllo. Grazie a questi controlli e alla testimonianza degli impiegati risale l’accusa di aver partecipato all’irruzione negli uffici di Democrazia Nuova, un gruppo politico che fa capo a Massimo de Carolis. Lui e tre ragazze avevano legato i quattro impiegati alle seggiole e gli avevano tappato la bocca con i cerotti. Avevano tagliato i fili del telefono, rovistato nei cassetti, preso documenti, schede, denaro: un milione e mezzo.
Mario Moretti ricorderà così il ragazzo:
Walter era un compagno molto giovane, quasi un ragazzo, con una intelligenza non comune delle tensioni sociali di quegli anni. Veniva da una famiglia di operai di Sesto San Giovanni, gente del PCI. Erano un mucchio i ragazzi della sua età e della sua provenienza che ci giravano attorno. E anche se erano studenti, tendevano a prendere subito un punto di vista rigidamente operaio.
Anche Curcio spenderà parole d’affetto e comprensione per quel giovane militante che al ballo e alle discoteche aveva preferito la lotta armata:
Quando lo incontrai nell’hinterland milanese aveva vent’anni: figlio di operai ancora orgogliosi del loro lavoro, apparteneva a quella nuova realtà di giovani arrabbiatissimi nati nei desolati centri della cintura industriale: San Donato, Desio, San Giuliano, Sesto San Giovanni. Ragazzi spoliticizzati che vivevano di furti e di lavoro nero, individualisti, ma con un forte senso di solidarietà sociale… Mi convinsi che poteva essere estremamente importante per le BR sviluppare un collegamento con quella nuova area di ribellione sociale. Dovevamo tentare di politicizzare quelle bande.
Web
Testi
- Sergio Flamigni, La sfinge delle Brigate Rosse. Delitti, segreti e bugie del capo terrorista Mario Moretti.
- Vincenzo Tessandori. BR Imputazione: banda armata. Cronaca e documenti delle Brigate Rosse.
- Pino Casamassima, Il libro nero delle Brigate Rosse
- Giorgio Manzini, Indagine su un brigatista rosso. La storia di Walter Alasia
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