Marzo 1977
Mario Moretti organizza una tipografia a Roma: il mistero della macchina da stampa modello Ab-Dik 360.
La tipografia viene organizzata in via Pio Foà.
E in quella tipografia Mario Moretti trasporta personalmente una macchina da stampa, modello Ab-Dik 360, proveniente dal RUS, il Raggruppamento unità speciali del Sid, e una fotocopiatrice proveniente dal ministero dei
Trasporti.
Lo testimonierà Enrico Triaca, il brigatista preposto alla tipografia:
«Nell’estate del 1976 [nel corso di una delle assemblee del movimento studentesco di Roma che si tenevano presso l’Università] ebbi modo di conoscere un giovane di circa trent’anni che si presentò come Maurizio [Mario Moretti, ndr]. Da quell’epoca, io e Maurizio cominciammo a frequentarci con una certa assiduità incontrandoci sia all’Università, più spesso a piazza Navona e a piazza Venezia, e comunque nella zona del centro [di Roma, ndr]…
Verso la fine del 1976 il Maurizio mi disse che faceva parte delle Brigate rosse. Mi invitò a fare parte della organizzazione, spiegandomi che avrei dovuto avere contatti soltanto con lui ed eventualmente col nucleo che egli avrebbe costituito. Il Maurizio mi propose di aprire una tipografia a Roma in un luogo che avrei dovuto scegliere io stesso; egli avrebbe finanziato l’acquisto di tutta la attrezzatura necessaria, mi avrebbe dato tutto il denaro occorrente per svolgere la nostra attività; mi disse, anche, che la tipografia avrebbe svolto attività apparentemente regolare, mentre in realtà doveva servire a stampare materiale per conto delle BR. Per circa un mese cercai un locale adatto alla tipografia, e finalmente, nel marzo 1977, trovai il locale in via Pio Foà 31. Presi contatti con il proprietario, tale Carpi Pierluigi, con il quale fu convenuto un canone mensile di 150 mila lire; versai tre mensilità anticipate in denaro contante che mi era stato dato dal Maurizio. Diedi incarico a una ditta di eseguire lavori di ristrutturazione del locale, e pagai 600 mila lire; anche questa somma mi venne data dal Maurizio. Siccome io ero inesperto in tipografia, chiesi al Maurizio di indicarmi il materiale che dovevo acquistare: egli mi suggerì di acquistare una macchina “Rotaprint” e mi consegnò lire 5 milioni in contanti che io versai alla ditta venditrice… Il prezzo complessivo era di lire 14 milioni: firmai cambiali per la rimanente parte… con scadenze bimestrali. Tutte le cambiali sono state pagate regolarmente alla scadenza con denaro datomi dal Maurizio. Fu lo stesso tecnico della “Rotaprint” a insegnarmi l’uso delle macchine.
Il Maurizio portò nella tipografia due macchine Ab-Dik di cui una serviva per le fotocopie e l’altra per la stampa. Il Maurizio portò le due macchine con un furgone bianco da lui stesso condotto. Fu quella l’unica volta che vidi il Maurizio con una macchina. Con lo stesso furgone il Maurizio portò anche un bromografo per lo sviluppo delle matrici e un ingranditore per lo sviluppo delle fotografie»
La spiegazione che Moretti tenterà di dare della vicenda della macchina da stampa proveniente dal Rus del Sid, e da lui personalmente portata nella tipografia brigatista di via Foà, sarà menzognera:
«Ci imbattiamo nella maledetta macchina da stampa [Ab-Dik 360, ndr] che ci attirerà a distanza di anni le petulanti attenzioni dei dietrologi. Pare accertato che originariamente appartenesse a non so quale ufficio dei servizi segreti militari di Forte Braschi. L’avevano comprata in un magazzino dell’usato dalle parti di Porta Portese un gruppo di compagni che all’epoca lavoravano all’Eni per stampare il materiale del loro comitato, compreso un giornale. E probabile che fosse finita da quel rigattiere per una di quelle magie che permettono a un sacco di piccoli funzionari statali di farsi la barca e la villa al mare con uno stipendio ufficiale di due milioni al mese. Insomma, nell’impiantare la colonna [romana delle Br, ndr] non solo cooptiamo i compagni ma ne “ereditiamo” il materiale compresi i rottami, che non si buttano perché, si sa, tutto può servire. In realtà la stampatrice è tanto vecchia che non sarà mai adoperata. A immaginare come ne sarebbe stata strumentalizzata la presenza fra le nostre cose, avremmo fatto meglio a mangiarcela bullone per bullone».
Anche il capo del Sismi, il generale Giuseppe Santovito, fornirà delle spiegazioni menzognere. Alla Commissione parlamentare Moro, interessata a conoscere la provenienza della stampatrice e i reali compiti del Rus (Raggruppamento unità speciali), il generale Santovito risponderà:
«Non c’è niente di speciale. Si tratta del sostegno del personale di leva in servizio: gli autisti, i marconisti, si chiamano unità speciali. Anzi adesso non si chiamano più così, si chiamano unità di difesa… Quella macchina [da stampa] è stata messa fuori uso e venduta come rottame insieme ad altro rottame. È stato ricostruito tutto l’iter di quella macchina: chi l’ha comprata, chi l’ha rimessa in ordine, chi l’ha rivenduta. Sappiamo tutto su questa macchina».
Ma i commissari appureranno poi, attraverso i documenti esaminati, come fosse falso che il Rus non avesse «niente di speciale», poiché era parte dei servizi segreti, e come fosse menzognero il racconto del generale Santovito in merito alla stampatrice del Rus.
È falso che la stampatrice Ab-Dik fosse stata venduta come «rottame insieme ad altro rottame»: infatti, la macchina è stata installata nella tipografia da Moretti verso la metà di marzo 1977, mentre tale Franco Bentivoglio aveva ritirato il rottame dal Genio militare nell’ottobre 1977 (infatti fra il materiale pagato dal Bentivoglio non c’è la stampatrice, come risulta dall’elenco del materiale ritirato).
Il colonnello del servizio segreto militare Federico Appel racconterà di aver consegnato la stampatrice a suo cognato Renato Bruni dietro versamento, senza quietanza, di 30 mila lire «agli affari burocratici del magazzino della Magliana» (in Corte di assise, Bruni correggerà la somma: non 30, bensì 60 mila lire). Ma quel tipo di macchina aveva una durata media di oltre dieci anni, ed era del tutto inverosimile che l’amministrazione militare la dichiarasse fuori uso a soli tre anni dall’acquisto, e che la rivendesse a 30 (o 60) mila lire avendola pagata 10 milioni e mezzo…
Secondo la menzognera ricostruzione del colonnello Appel, dopo altri due passaggi la stampatrice sarebbe finita alle Br morettiane come per un caso di ordinario peculato. I passaggi che la stampatrice Ab-Dik ha compiuto prima di arrivare alle Br verranno coperti da una catena di mendaci. Compreso Stefano Noto (addetto alla manutenzione della macchina presso il Rus), il quale sosterrà di avere prima riparato e poi venduto la stampatrice a Stefano Ceriani Sebregondi (fiancheggiatore delle Br) e a Enrico Triaca per 3 milioni in contanti, e di averla consegnata nell’agosto
1977 presso i locali della tipografia in via Fucini a Monte Sacro, dove aveva spiegato loro il funzionamento. Anche qui falsità: in agosto i locali di via Fucini non erano più a disposizione della tipografia Br (trasferitasi dalla fine di febbraio), e inoltre la stampatrice dei servizi segreti si trovava in via Foà dal marzo 1977, portatavi da Moretti, e in aprile aveva già stampato un opuscolo e altri documenti delle Br.
La gravissima vicenda della macchina tipografica verrà elusa anche nell’ambito del IV processo Moro: la sentenza si limiterà infatti ad attribuire al colonnello Appel il semplice reato di peculato, «reato estinto per morte del reo»; alla risibile conclusione processuale seguirà una tardiva dichiarazione del generale Ambrogio Viviani (invitato ad affiliarsi alla P2 dal vicecapo della Cia a Roma Mike Sednaoui), secondo il quale «nel 1974 il colonnello Appel era caduto nell’attenzione del controspionaggio per le sue relazioni con l’ambasciata di Albania» – insomma, era un “traditore”…
A dispetto di tutti i depistaggi tentati e attuati dal Sismi, e della passività della magistratura, rimane un fatto certo, chiaro, inoppugnabile: una stampatrice appartenente a un ufficio del controspionaggio militare (il Raggruppamento unità speciali), nel marzo 1977 viene portata da Moretti nella tipografia romana delle Br, e verrà utilizzata per stampare materiale della propaganda brigatista. Per giunta, il Rus non è un ufficio militare qualsiasi: tra le unità speciali, gestisce anche quelle dell’organizzazione paramilitare della Nato “Gladio”. Infatti il Rus è l’ufficio dove si osservano le regole della compartimentazione nel modo più rigoroso, e che provvede alle chiamate per l’addestramento dei “gladiatori”: lo rivelerà il generale Serravalle, già capo di “Gladio”, alla Commissione parlamentare stragi.
È dunque uscita da quell’ufficio, adibito ai compiti più occulti del servizio segreto militare, la stampatrice utilizzata dalle BR morettiane prima e durante il delitto Moro.
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