23 Maggio 1974
Viene diffuso il Comunicato n°8 sul Sequestro Sossi, dopo la sua liberazione a Milano.
Il generale Dalla Chiesa comincia a preparare un Nucleo Antiterrorismo dei Carabinieri.
Invece della solita colazione, caffè e fette biscottate, a Sossi viene dato un sedativo. Poi gli bendano gli occhi con un cerotto, gli infilano grossi occhiali scuri, in capo gli calcano un berretto a visiera; gli restituiscono gli oggetti tolti al momento della cattura, tranne la “ventiquattrore” e le due agende. Prima di spingerlo sul sedile posteriore di un auto gli consegnano un foglio, il comunicato n. 8, intimandogli di farlo giungere al “Corriere della Sera” pena rappresaglie contro il p.g. Coco e il ministro Taviani. Il prigioniero viene avvisato che sarà rilasciato a Milano, ma che la cosa migliore, per lui, è tornare a Genova col primo treno. Ogni sua mossa, lo avvertono, sarà controllata.
Durante il suo ritorno a casa Sossi ha un comportamento assai strano. Durante il viaggio Milano-Genova si nasconde a tutti. Solo poco prima dell’arrivo si rivela a un compagno di viaggio e lo prega di accompagnarlo, avendo paura di rimanere solo. Giunto a Genova, anziché telefonare alla famiglia o alla polizia, telefona a un suo amico medico legale e si fa rilasciare un certificato che attesta la sua sanità mentale. Più tardi dichiarerà: «Non ho telefonato a mia moglie perché il mio telefono è controllato. Non volevo arrivare a casa da solo e per giunta preannunciandomi col risultato di far correre polizia e carabinieri». Per non tornare a casa solo infatti, il giudice si procura la scorta di due amici avvocati, uno dei quali più tardi dirà: «Che forse dovevo servire a parargli una pallottola l’ho pensato più tardi, e mi tremano ancora le gambe». In una conferenza stampa, alla domanda: «Lei ha paura dottor Sossi, lo dice e si vede anche, ma di che ha paura?», così risponde: «Delle BR no». «E allora di chi?» «È una cosa vaga, non posso dire di chi… Forse voi lo capite». Riferisce inoltre «Panorama» che Sossi
rifiuta la scorta della polizia e esce soltanto se lo accompagnano quattro guardie di finanza che conosce da tempo. Evita di parlare al telefono perché è controllato. Si sposta su un’alfetta blu della Finanza che appena possibile semina le giulie della questura incaricate di pedinarlo.
Quando dovrà fugare alcuni sospetti sorti sul suo viaggio Milano-Genova e sullo strano comportamento da lui tenuto, fornirà dei testimoni solo in un secondo tempo, chiedendo interrogatori immediati, quasi temesse che chi era in grado di confermare il suo racconto potesse essere fatto sparire. Le sue prime dichiarazioni sono di rispetto per le BR:
Nessuno mi ha imposto di scrivere messaggi, sono io che ho chiesto di farlo. Non sono mai stato costretto con la violenza a dire cose importanti alle BR. Non ho subito cioè maltrattamenti o torture… Alla fine i rapporti tra me e i due brigatisti erano, se non cordiali, almeno civili.
Pone anche l’accento sul carattere pedagogico della sua detenzione: per dura che sia stata la drammatica esperienza, è pur sempre un’esperienza, aggiungendo che in una cosa erano assolutamente d’accordo lui e le BR: «Che l’indipendenza della magistratura è un’utopia… questo le BR lo sapevano già. Io l’ho capito in quei trentacinque giorni».
Sossi arriva in incognito alla stazione di Genova, telefona a un amico, e si fa portare a casa, da dove chiama il collega pretore Gianfranco Amendola. Poi si consegna alla Guardia di finanza, di cui si fida. «Per amore di verità debbo dire che durante la detenzione mi è stato usato un trattamento umano», dichiara. «Non sono mai stato costretto con la violenza a dire alle BR cose importanti, cioè non ho subito maltrattamenti né torture». E dei brigatisti dice: «Li rispetto come nemici di una certa lealtà. Sono però fuori dalla realtà, sono a sinistra di qualunque sinistra. Sostanzialmente sono anticomuniste, nel senso che sono contro il Partito comunista».
Il procuratore generale Coco afferma che «l’ordinanza di scarcerazione è ineseguibile perché non sono state rispettate le modalità del lo scambio: Sossi è libero fisicamente ma non spiritualmente… Il trauma psichico perdura per un tempo variabile anche dopo la liberazione». Sossi gli replica: «Il dottor Coco è più stanco di me, è anziano, per lui è stato un brutto periodo». Secondo il “Corriere della Sera”, «questi dubbi sull’equilibrio psico-fisico di Sossi sono soltanto l’inizio di una manovra per dichiararlo folle o non sano di mente, e invalidare tutto ciò che egli può aver detto o fatto durante i giorni della prigionia». Il settimanale “L’Espresso” commenta: «L’ultima mossa dei brigatisti, quella di fare arrivare il giudice Sossi sano e salvo a casa, si sta rivelando la più scaltra del loro lungo duello con lo Stato italiano… Se lo avessero ucciso, si sarebbero isolati totalmente… Essi volevano porre l’opinione pubblica di fronte a una nuova drammatica domanda: è giusto reagire alla illegalità e alla violenza fisica di un sequestro con l’illegalità e la violenza della menzogna di Stato? Ci sono riusciti».
Prima di liberarlo Alberto Franceschini gli dice:
“Vai Mario, metti giudizio”.
In effetti, l’operazione Girasole è un clamoroso successo per le BR. Nella città più operaia e antifascista d’Italia, i brigatisti hanno sequestrato, senza spargimento di sangue, un giudice-simbolo della destra reazionaria come Mario Sossi, e minacciando di ucciderlo hanno chiesto e ottenuto dalla magistratura una sentenza di scarcerazione per 8 “detenuti politici”.
Durante il lungo sequestro (protrattosi per più di un mese senza che le forze dell’ordine siano riuscite a interromperlo), l’ostaggio ha rivelato torbidi retroscena dei vari apparati dello Stato, e i brigatisti li hanno puntualmente divulgati. Infine, mantenendo gli impegni assunti (disattesi invece dallo Stato), hanno liberato il prigioniero incolume, e il ritorno di Sossi sta provocando altre imbarazzanti situazioni.
Ciò spiega il favore di cui cominciano a godere le BR presso consistenti settori della sinistra operaia, studentesca e intellettuale. Un risultato sociopolitico che sarebbe stato ben diverso se il magistrato prigioniero fosse stato assassinato come pretendeva Mario Moretti.
Benché sia stato chiaro nella dinamica dei fatti, limpido nella gestione e conseguente nella conclusione, il sequestro Sossi successivamente farà emergere zone d’ombra e gravi ambiguità. Emergerà per esempio che il capo del Sid generale Vito Miceli, in pieno sequestro, ha organizzato una riunione con alcuni suoi stretti collaboratori illustrando un piano per intervenire, piano che presupponeva la conoscenza del luogo dove Sossi era tenuto prigioniero.
Secondo la testimonianza di un ufficiale del servizio segreto militare presente a quella riunione, il generale Miceli avrebbe voluto «attivare il Sid non per contrastare l’azione dei sequestratori, ma per affiancarla e portarla a un tragico compimento».
Il generale Miceli voleva attivare il Sid perché il sequestro Sossi avesse un tragico epilogo così concepito: rapire e uccidere l’avvocato Giovambattista Lazagna (ex partigiano genovese, militante dell’estrema sinistra, già implicato nell’inchiesta sui Gap di Feltrinelli); poi, il luogo dove Sossi era detenuto – «“scoperto” da qualcuno che già lo conosceva», cioè la polizia – sarebbe stato «accerchiato e si sarebbe sparato. E dentro avrebbero trovato i cadaveri dei brigatisti, il cadavere di Sossi, e il cadavere di Lazagna».
Il piano non era stato attuato per le forti perplessità di alcuni degli ufficiali del servizio segreto militare presenti alla riunione. Ma testimonia di come settori di apparati dello Stato fossero impegnati a alimentare il terrorismo e a “pilotarlo”, anziché combatterlo, così da accrescere l’allarme sociale e i conseguenti riflessi politici; per questo
erano più opportune BR “sanguinarie”, e non solo “dimostrative” e propagandistiche.
Nel 1981 il brigatista pentito Alfredo Bonavita, impegnato a raccontare ai magistrati la dinamica del sequestro Sossi, elencherà i nomi dei 18 brigatisti che avevano attivamente partecipato all’operazione, ma avrà cura di non citare “Rocco”, cioè l’informatore della polizia Francesco Marra.
Invece di fare il nome di Marra (che insieme a lui aveva materialmente afferrato Sossi al momento del rapimento), Bonavita tirerà in ballo Mario Moretti (che al sequestro non ha affatto partecipato).
Un espediente per tenere nascosta l’identità dell’informatore, che infatti resterà “coperto” per molti anni.
Lo stesso giorno in cui le Br rilasciano Sossi, il 23 maggio 1974, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa incomincia a preparare un Nucleo speciale antiterrorismo dei carabinieri.
Alcuni giuristi, confrontando la parola delle BR e quella dello Stato, giungono ad amare conclusioni. È il caso di Conso e dell’ex presidente della Corte costituzionale Giuseppe Branca; quest’ultimo dichiara che, mancando alla parola data, quello Stato cui si chiede di essere autorevole finisce col perdere ogni credibilità. Lo Stato non deve attaccarsi a cavilli e usare il potere dei propri organi costituzionali per tenere in galera coloro ai quali, attraverso il potere di altri organi altrettanto costituzionali, ha in precedenza garantito la libertà, concludendo con una domanda allarmante: chi ci garantisce che uno Stato incapace di mantenere oggi la parola data ai delinquenti saprà mantenerla domani ai cittadini onesti?
Con queste ultime lacerazioni all’interno dello Stato e dell’establishment, le BR ottengono il risultato di prolungare l’effetto della loro azione: giornali, periodici, radio e televisioni fanno a gara a commentare l’onestà delle BR e la disonestà dello Stato. La stella a cinque punte brilla più che mai.
Web
Testi
- Sergio Flamigni, La sfinge delle Brigate Rosse. Delitti, segreti e bugie del capo terrorista Mario Moretti.
- Vincenzo Tessandori. BR Imputazione: banda armata. Cronaca e documenti delle Brigate Rosse.
- Pino Casamassima, Il libro nero delle Brigate Rosse
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