Recensione de Le meraviglie del duemila di Emilio Salgari
Le meraviglie del duemila è un romanzo di Emilio Salgari pubblicato nel 1907, in questa versione edito da Viglongo nel 1995.
Le meraviglie del duemila è un romanzo utopico. O forse distopico, dipende un po’ dai punti di vista.
Lo scienziato Toby Holker nel 1900 scopre una pianta in grado di sospendere le funzioni vitali di un essere vivente per un tempo indefinito, il cui risveglio può avvenire soltanto grazie ad un procedimento ben definito.
Il dottore convince quindi il suo amico James Brandok, annoiato rampollo di una famiglia ricca, a partecipare con lui al suo esperimento: prendere l’estratto della pianta e dormire per 100 anni fino al 2000, lasciando le istruzioni a un discendente per svegliarlo e scoprire l’evoluzione dell’umanità.
Tutto avviene secondo i piani e i due si svegliano nel duemila, scorrazzando per il mondo come turisti in visita.
Salgari è storicamente uno degli scrittori italiani con più immaginazione, tanto da avere scritto romanzi ambientati ai Caraibi, in India e nei posti più esotici senza esserci mai andato.
In questo romanzo però manca qualcosa, anche se è vero che non era semplice.
Emilio Salgari immagina come si evolverà il mondo con quasi 100 anni di anticipo (il romanzo viene pubblicato nel 1907), e sceglie decisamente il secolo sbagliato, il Novecento, il secolo con probabilmente più cambiamenti nella storia dell’umanità: bellici, sociali e politici, oltre che prettamente tecnologici.
Il risultato quindi è un mondo fatto di navi volanti (con le ali battenti, come quelle degli uccelli), di treni velocissimi e tunnel verso il Polo Nord.
Salgari vuole un mondo iper-tecnologico dove gli animali da allevamento sono tutti morti, dove le macchine hanno sostituito i lavoratori e dove i criminali sono esiliati in isole autogovernate in mezzo al mare?
Forse no, forse qualche critica c’è. Ma è troppo sottointesa e nascosta, davvero troppo.