Cosa rimane
Il 23 Marzo 2013 ho partecipato alla marcia No TAV da Susa a Bussoleno.
Il nostro pullman è stato fermato più volte in autostrada dalla polizia. Ci hanno fatto scendere uno ad uno, ci hanno filmato la carta d’identità, poi il volto. Poi ci hanno fatto risalire, ci hanno riconsegnato i documenti. Poi via, verso Susa, veloci.
Dopo 5 ore di autobus, prima di uscire dall’autostrada, quella scritta No TAV sul fianco della montagna. Come a far capire di essere in un altro mondo. Forse quell’altro mondo possibile di cui parlavamo nel 2001, nei pressi di Genova.
Queste montagne sono antiche. E forti. Resistenti, detto alla partigiana. Sembrano inamovibili. Come i loro abitanti.
Siamo scesi dal pullman che mancava ancora un’ora all’inizio della marcia. C’erano già molti pullman. Un sacco di persone. Ci siamo accodati, mischiati. Eravamo sorridenti.
Negli spiazzi vicino alla stazione di Susa la folla cominciava a montare, come una piena. Come una diga che rompe gli argini. Ho fotografato famiglie, bambini con la bandana No TAV appesa al collo. Anziani. Giovani che con le bombolette compilavano striscioni live. C’erano Valsusini, ma c’erano anche tantissime persone che hanno fatto della difesa del territorio una missione di vita. No Dal Molin, NoMuos, No F35. E tantissimi altri.
Mi sono ritrovato in coda con gli anarchici pensando che la manifestazione fosse appena partita. Sbagliavo. Guardando in direzione di Bussoleno ho visto decine di migliaia di persone in marcia per dire basta. Per riprenderci il nostro territorio. I nostri soldi. Il nostro futuro. Per resistere. Per andare avanti. Per non fermarci.
Ho attraversato la manifestazione, Sabato 23 Marzo. Sono partito dagli anarchici, dalle bandiere di partito (o Movimento), relegate in coda al corteo per dimostrare che i No TAV sono uomini e donne, non tesserati. Per far sì che nessuno si prendesse il merito di questo miracolo. Dopo SEL, M5S e Rifondazione Comunista, soltanto bandiere bianche, col treno sbarrato in rosso. Ho fatto chilometri con un sorriso ebete sulla faccia, perché non poteva essere vero. Eravamo il cambiamento. Il vento impetuoso senza essere Kamikaze. Consapevoli. Pronti. Decisi.
Cosa rimane?
Rimane un esercito di clown che simula una carica davanti all’unico cordone di polizia. Le facce e le parrucche colorate, i manganelli di gomma, gli scudi di cartone davanti ai blindati e alle armi. Poi andiamo avanti, e quella sarà l’unica polizia che vedrò. Perché non c’è spazio per loro, oggi.
Cosa rimane?
Rimane la sensazione di essere 80.000 individui che condividono un’idea. Non una massa che aderisce a un’ideologia in scatola.
Cosa rimane?
Rimane la fatica di una marcia di 8 km sotto la pioggia. Metafora della resistenza, di questa resistenza No TAV e di tutte le lotte portate avanti in questo paese. La stanchezza, a volte la disperazione; ma con la certezza che arriveremo in fondo, costi quel che costi.
E quando pare di non farcela più comincia Bussoleno.
Cosa rimane?
Rimangono le facce dei valsusini schierati ai lati della strada, che sorridono e ringraziano questa folla immensa e multicolore, infinita e multipla, incuranti dei disagi che causiamo, ma grati della nostra presenza, del nostro appoggio. Del non farli sentire soli.
Cosa rimane, nel buio del ritorno in pullman?
Rimane questa speranza, l’immagine di questo serpentone senza fine che si snoda lungo le salite e le discese del percorso. La speranza che non tutto è perduto. Che possiamo farcela. Che siamo una moltitudine senza fine. Che non siamo soli, che non lo saremo mai.
Rimaniamo noi, a resistere, ultimi baluardi contro l’ignoranza senza fine di questa becera Italia.
Cosa rimane?
Rimane quel cartello sotto cui passa la manifestazione. Strada chiusa tra Susa e Bussoleno causa manifestazione. Quando quel cartello recherà scritto:
Mentre il cuore d’Italia da Palermo ad Aosta si gonfiava in un coro di vibrante protesta
Allora ci saremo. Nel cuore del momento.
A sarà dura.
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