12 Gennaio 1977
Piero Costa è catturato davanti alla porta di casa da un commando della Brigate Rosse.
Genova, Belvedere Montaldo, ore 20.
Piero Costa 42 anni, ingegnere, armatore, secondo dei nove figli di Giacomo II, già presente della Confindustria, è catturato davanti alla porta di casa da un commando di uomini armati. In due balzano alle spalle dell’industriale che tenta di sottrarsi alla cattura, urla, si divincola. Lo scaraventano su una 132 in attesa, motore acceso. I rapitori, che armi in pugno avevano bloccato la stretta strada, scompaiono. Nel più assoluto segreto cominciano le trattative per il rilascio dietro riscatto. Saranno lunghe e laboriose. Forse i rapitori sono a conoscenza dell’assicurazione antisequestro, per 1.300 milioni, stipulata con Lloyds di Londra da ogni membro della famiglia ed è pure possibile che conoscano un particolare: nella polizza c’è una clausola, il pagamento avverrà soltanto dopo 40 giorni di prigionia. I sequestratori hanno dettato precise condizioni. Alla famiglia è giunta una fotografia Leica di Maria, sorella del rapito, scattata il giorno del funerale del padre. Toccherà alla donna, che lavora presso l’istituto religioso Gesù di Nazareth di Roma, consegnare il denaro. Secondo gli inquirenti, la sera del 26 Marzo, presso il parco di villa Sciarra, nel quartiere Monteverde, a Roma, a ritirare i 1.500 milioni del riscatto sarebbero, secondo la polizia, Maria Pia Vianale e Antonio Lo Muscio, nappisti. Il prigioniero verrà rilasciato il 2 Aprile, dopo 81 giorni di detenzione.
II rapimento è a scopo di riscatto. Il sequestrato è uno dei nipoti dell’armatore Angelo Costa, capostipite di una delle più facoltose famiglie dell’imprenditoria italiana. Presidente della Confindustria nel primo dopoguerra, Angelo Costa aveva organizzato, con altri industriali, una campagna contro il PCI, comprensiva di finanziamenti per «armare gruppi anticomunisti»; il denaro dell’industriale genovese aveva poi finanziato l’attività anticomunista di Edgardo Sogno.
Il sequestro di Piero Costa è stato concepito e organizzato da Moretti, il quale ne cura personalmente la gestione concordando col prigioniero i messaggi ai familiari per il riscatto, stabilito nell’ingente somma di un miliardo e mezzo di lire (equivalente a circa 5 milioni di euro odierni).
Il rapimento è rivendicato dalle Brigate Rosse con un documento infilato nella tasca della giacca dell’armatore al momento del rilascio:
La capacità della nostra organizzazione di resistere alla repressione e anzi intensificare sul altri obiettivi l’attacco allo stato, ha incrinato l’apparente omogeneità politica e di interessi pomposamente sbandierati con ripetuti vertici in questura. Al fine di approfondire la contraddizione apertasi tra la multinazionale Costa e gli altri organi dello stato abbiamo scelto tatticamente di mantenere riservata la prima fase dell’operazione. Questa lacerazione del fronte nemico ha consentito di imporre alla multinazionale Costa la tassazione di un miliardo e cinquecento milioni, che si inserisce coerentemente nella linea di esproprio totale dei beni e dei mezzi di produzione rapinati dalla borghesia al proletariato.
L’ingente somma di denaro ottenuta col sequestro Costa permette a Moretti di consolidarsi come capo-padrone delle Br, e di dotare l’organizzazione di una disponibilità finanziaria quale mai ha avuto prima. Denaro che verrà utilizzato per comprare armi, appartamenti, per stipendiare vecchi e nuovi arruolati, e per preparare la “operazione Moro”. In pratica i Costa, trent’anni dopo avere volontariamente finanziato l’attività anticomunista di Edgardo Sogno, sono stati costretti a finanziare il terrorismo “comunista” delle Br.
- Vincenzo Tessandori. BR Imputazione: banda armata. Cronaca e documenti delle Brigate Rosse.
- Sergio Flamigni, La sfinge delle Brigate Rosse. Delitti, segreti e bugie del capo terrorista Mario Moretti.
- Pino Casamassima, Il libro nero delle Brigate Rosse
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