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Brigate Rosse
Home›L'alba dei funerali di uno Stato›Brigate Rosse›16 Luglio 1975

16 Luglio 1975

By zorba
15 Luglio 1975
138
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A Torino viene arrestata Cesarina Carletti, di 63 anni come complice delle Brigate Rosse.

Cesarina Carletti ha 63 anni, si guadagna da vivere dietro ad un banco di chincaglierie a Porta Palazzo, dove tutti la conoscono come «Nonna Mao». Durante la Resistenza è stata staffetta partigiana. L’accusa è di «apologia dell’associazione sovversiva e partecipazione»: più volte, dicono gli inquirenti, ha avuto contatti con brigatisti rossi, soprattutto con Buonavita, e la sua bancarella è stata sovente luogo di distribuzione dei comunicati dell’organizzazione: per questi reati l’arresto è obbligatorio. Alle spalle ha un’esistenza tragica. Di famiglia antifascista, aveva intrapreso studi classici, ma superato il primo anno di liceo, rinunciò al diploma quando le fecero capire che era «opportuno procurarsi la tessera di “giovane fascista”». S’impiegò in uno studio notarile. Otto anni di tranquillo lavoro, ottenne quindi un posto in banca: vi rimase sei mesi, poi la direzione scoprì che non aveva la tessera del PNF. Licenziamento. Dall’8 Settembre 1943 fa parte delle formazioni partigiane «Giustizia e Libertà». Viene chiamata «Cesi», le affidano l’incarico di mantenere i contatti fra i gruppi che operano in città e le formazioni di montagna, nelle valli di Lanzo. Si sposta di continuo, nel manicotto di pelliccia tiene sempre la pistola. Di giorno porta ordini, la notte attacca manifesti sui muri delle case del fascio. Colloca anche cariche di esplosivo, e molti la indicano come «la dinamitarda». È arrestata il 10 Dicembre 1943, mentre accompagna in montagna alcune reclute partigiane: due sono spie. Cinque giorni di «casa littoria», centoventi ore di incubo. Interrogatori, percosse, poi il trasferimento nella caserma in via Asti. Sevizie, torture, altri interrogatori massacranti: si pretendono, da lei, nomi e indirizzi. Incapaci di strapparle la verità, le «brigate nere» la consegnano alle SS. Scomparve nell’Albergo Nazionale, quartier generale dei torturatori tedeschi: per tre giorni venne tenuta nella stanza numero 33. Altre sevizie, quindi trasferimento alle carceri «Nuove», in attesa di processo. Sette mesi, due processi, la condanna a morte, poi trasformata in deportazione in un lager tedesco. La lunga strada verso l’ignoto cominciò il 26 Giugno 1944, in un carro bestiame: destinazione Schoenfeld. Quando l’avevano catturata era 70 chili, il giorno che venne liberata dalle truppe sovietiche ne pesava meno della metà.

Anche se il suo nome appare più volte nei fascicoli del processo numero 594/74 sulle attività delle Brigate Rosse, Cesarina Carletti ha sovente affermato di non condividere la condotta dell’organizzazione. Il giudice istruttore la interroga, due giorni dopo l’arresto la rimette in libertà provvisoria. È rinviata a giudizio

«per avere in Torino, dal 1972 all’autunno del ’74, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso con altri e in particolare con Buonavita Alfredo, fatto pubblica istigazione alla commissione del delitto di associazione sovversiva e costituzione di banda armata e apologia di delitti detti reati e di altri connessi (sequestri di persona, rapine) diffondendo al pubblico ciclostilati stampati dalle BR in occasione dei sequestri Macchiarini, Labate, Amerio, Sossi, del duplice omicidio della sede del MSI di Padova, dell’arresto di Curcio e Franceschini, nei quali, esaltando l’attività dell’associazione sovversiva delle BR e i singoli fatti criminosi da esse commessi tra l’altro, si istigava il pubblico alla lotta armata al cuore dello stato e a “trasformare la crisi di regime in lotta armata per il comunismo”».

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  • Vincenzo Tessandori. BR Imputazione: banda armata. Cronaca e documenti delle Brigate Rosse.
TagsAlfredo BonavitaCesarina Carlettitorino
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