3 Maggio 1977
Il processo alle Brigate Rosse, già slittato di un anno dalla sua apertura, viene rimandato ancora a data da destinarsi.
Il presidente della Corte d’Assise, Guido Barbaro, appurata l’impossibilità di formare una giuria popolare, rinvia a nuovo ruolo il processo ai cinquantatré imputati delle Brigate Rosse.
Roberto Ognibene spiegherà:
«Noi dovevamo dimostrare che, per quanto prigionieri, eravamo in grado di paralizzare la giustizia e, con le azioni dei compagni fuori, che la rivoluzione continuava».
Per Moretti:
«Al processo di Torino i compagni mettono in atto il rifiuto del processo, è la rottura. E si modifica la procedura, il processo si celebra senza la presenza dell’imputato: salta il ruolo della mediazione della magistratura. Il conflitto è totale, ultimativo […] bastava rivendicare le azioni in aula per cambiare diametralmente la nostra posizione, da accusati si diventava accusatori».
Considererà Sergio Zavoli:
«La mancata realizzazione del processo è una vittoria delle BR, che puntano alla cosiddetta germanizzazione dello Stato di diritto. Se lo Stato viene costretto a rinunciare alle regole costituzionali, teorizzano le BR, per ciò stesso ne esce accelerato il processo rivoluzionario e l’aspetto militare diventa quello predominante».
«Se fra il ’75 e il ’76 non fosse ripartita l’eruzione sociale», aggiungerà Giorgio Bocca, «la guerriglia urbana sarebbe probabilmente finita lì». In realtà, “l’eruzione sociale” riprende solo alla fine del ’76 e raggiunge l’apice con il movimento del ’77. Movimento col quale, secondo Prospero Gallinari, c’erano più divergenze che punti di contatto, e solo dopo la fine di quell’esperienza molti di quei giovani abbracceranno la lotta armata. Opinione condivisa da Mario Moretti, per il quale quel movimento – col quale le BR interagirono pochissimo – resterà «un oggetto sconosciuto».
Testi
- Pino Casamassima, Il libro nero delle Brigate Rosse
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