4 Giugno 1975
Un commando brigatista rapisce l’industriale Vittorio Vallarino Gancia.
Viene arrestato Massimo Maraschi.
A Canelli (Asti), alle ore 15.30, un commando di cinque brigatisti (comprendente Mario Moretti) rapisce l’industriale Vittorio Vallarino Gancia. Poco dopo, nella zona, i carabinieri fermano un giovane il quale prima tenta di fuggire, poi si dichiara prigioniero politico: è Massimo Maraschi, che vari indizi inducono a ritenere legato alle BR.
L’industriale lascia la casa verso le 15, saluta la cameriera e il giardiniere, Giuseppe Medina, sale sull’Alfetta. Per raggiungere la sede della ditta, in corso Libertà, deve percorrere poco più di un chilometro. Il giardiniere vede la prima parte del sequestro, ma subito non si rende conto di quanto accade.
«Fermi, a un centinaio di metri dalla villa c’erano auto, mi è parsa una 124 verde pisello, e un furgone. Ho creduto che ci fosse stato un incidente, un tamponamento. Quando la macchina del dott. Vallarino Gancia li ha superati, i quattro uomini che discutevano attorno alle vetture, sono risaliti e le macchine sono partite ad andatura moderata».
Ancora pochi metri, poi incontro all’auto si fa un operaio con una bandiera rossa in mano che fa cenno di fermare. Più avanti la strada è bloccata da una transenna e da un furgone. L’industriale si ferma, incerto sulle intenzioni del camioncino che ha preso ad arretrare. Subito dopo il furgone tampona a ritroso l’Alfetta, mentre il lunotto posteriore è frantumato a colpi di martello da uno degli uomini in tuta, la portiera è spalancata e Gancia si trova al fianco un giovane incappucciato che gli punta la pistola. Il prigioniero viene trascinato fuori, gli coprono la testa con un cappuccio ed è caricato sul furgone. Alla guida della macchina si mette uno del gruppo, i tre automezzi partono di scatto. L’auto di Gancia è ritrovata a Calamandrana, tra Nizza Monferrato e Canelli e, poco dopo, è rintracciato anche il furgone. Decine di pattuglie dei carabinieri e della Criminalpol battono le strade della campagna in una caccia serrata e difficile: i rapitori possono aver trovato rifugio in uno dei mille rustici, o, cambiate le auto, raggiunto l’autostrada. L’indomani giungerà la richiesta di riscatto: un miliardo, subito; cinquecento milioni in più se il pagamento dovesse tardare.
Ricorderà Curcio:
«Con l’andare del tempo, l’organizzazione era diventata sempre più grossa e le esigenze della clandestinità ancora più complesse e onerose. Il denaro delle rapine non bastava più…
Nell’Aprile 1975 ci riunimmo, Margherita, Moretti e io, in una casa nel piacentino per discutere il da farsi: pensammo che era venuto il momento di seguire l’esempio dei guerriglieri latino-americani che già da tempo sequestravano degli industriali per finanziarsi. Esaminammo una rosa di nomi presentata dalla colonna torinese.
Puntammo su Vallarino Gancia perché con lui potevamo agire in una zona che conoscevamo bene, perché l’operazione non comportava troppe difficoltà, perché era molto ricco… Volevamo chiedere un riscatto di circa un miliardo, ma, soprattutto, miravamo a un sequestro rapido, semplice e il meno rischioso possibile.
Io non facevo parte del gruppo operativo perché ero super ricercato, la polizia aveva le mie foto, non mi potevo spostare con facilità»
Un singolare episodio, accaduto nella zona durante il pomeriggio, viene posto in relazione con il sequestro. Due ore prima dell’aggressione, una 124 guidata da un giovane si scontra con una 500: solo carrozzerie ammaccate. Il guidatore della 124 si assume subito la responsabilità e offre un indennizzo di 75 mila lire. Poi firma una dichiarazione:
«Io sottoscritto, Dalmasso Pietro di anni 22, residente a Torino in Via Tassoni, 57 riconosco di avere torto nell’incidente avvenuto Mercoledì 4-6-’75 in località regione Bassi Cassinasco. Dalmasso Pietro.
Ma l’altro automobilista, Cesarino Tarditi, 18 anni, si insospettisce, avverte lo zio Oreste, idraulico, sono chiamati anche i carabinieri. Nel frattempo la 124 se n’è andata. La rintracciano, casualmente, alla periferia di Canelli, alcune ore più tardi. Il guidatore tenta la fuga a piedi, è inseguito, attraversa una roggia, vi cade, perde le lenti, quando si rialza i carabinieri gli sono addosso. In caserma dice: «Mi considero prigioniero di guerra, mi chiamo Massimo Maraschi».
Testi
- Sergio Flamigni, La sfinge delle Brigate Rosse. Delitti, segreti e bugie del capo terrorista Mario Moretti.
- Vincenzo Tessandori. BR Imputazione: banda armata. Cronaca e documenti delle Brigate Rosse.
- Giovanni Bianconi, Mi dichiaro prigioniero politico. Storie delle Brigate Rosse.
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