Recensione di Resto qui di Marco Balzano
Resto qui è un romanzo di Marco Balzano pubblicato da Einaudi nel 2018.
Un campanile che svetta dal lago. Che quando il lago è ghiacciato ci puoi arrivare a piedi. E toccarlo davvero, perché non è una foto artefatta, ma la realtà più delirante del capitalismo italiano prima fascista e poi del boom economico.
Siamo a Curon, comune di frontiera tra Italia, Austria e Svizzera.
Dopo la seconda guerra mondiale il Sudtirolo viene dato all’Italia, ma gli abitanti parlano ancora tedesco. Il fascismo cerca di assimilarli inviando maestri siciliani, abruzzesi e veneti ad insegnare l’italiano nelle scuole. Ma la maggior parte degli abitanti non è in grado di capire questi nuovi invasori.
Non capisce nemmeno i volantini affissi per tutto il paese in cui si annuncia la creazione di una diga per la produzione di energia idroelettrica.
È in questo paese che vivono Trina e la sua famiglia. Una famiglia che dovrà subire il fascismo, il nazismo dopo l’armistizio del ’43 e la Montecatini nel dopoguerra.
Tre dittature che ne distruggeranno l’anima.
Marco Balzano sceglie di raccontare uno dei luoghi e dei periodi storici tra i più nascosti della storia d’Italia, e lo fa con la semplicità e una maestria non indifferenti.
Scritta sotto forma di diario dedicato alla figlia, Resto qui è la storia di una popolazione oppressa dallo stato italiano, dal nazismo tedesco e da quella grande dittatura che persiste ancora oggi: il capitalismo selvaggio delle grandi opere.
Una storia fatta di prevaricazione e di resistenza, di lotta senza speranza e di follia in nome dei soldi.
Un romanzo da leggere tutto d’un fiato, per sentire il fuoco dell’indignazione e la disperazione dell’inutilità di qualsiasi forma di resistenza.