Recensione di The game di Alessandro Baricco
The game è un saggio di Alessandro Baricco pubblicato da Einaudi nel 2018.
The game è idealmente il seguito del saggio di Alessandro Baricco del 2006, ed è un libro che parla di internet e dei social network.
Baricco pone l’inizio del mutamento della nostra civiltà nel rapporto tra uomo, tastiera e schermo in contrapposizione a quello precedente, figlio della civiltà medioevale: uomo, spada e cavallo. È da questo nuovo rapporto che nasce la civiltà di internet, quella che dal calciobalilla si evolve nel flipper e poi nel videogioco.
Baricco ricostruisce in modo piacevole e accattivante la storia di internet a partire dagli albori fino ai giorni nostri… Anzi, cerca anche di dare una visione di quello che sarà il game di domani, in funzione di quello che è successo fino ad oggi.
The game è un saggio molto interessante e veramente molto ricco di spunti di riflessione. Alla fine non si può essere soltanto i luddisti del “io non ho i social network perché sono il Male”, né degli zombie che non si fanno domande su come strumenti potenti hanno modificato drasticamente il nostro modo di vivere.
Solo un paio di perplessità: The Game è un nome veramente brutto per definire il mondo di internet e dei social network, anche se è chiaro e logico il perché Baricco lo ha scelto in funzione delle sue argomentazioni; e poi l’autore è spesso troppo saccente, la sua ironia spesso finisce nell’autocelebrazione… Ma è sicuramente un libro da leggere.
Perché porsi delle domande sui social network e su internet è l’unico modo per capire dove stiamo andando. E come.
Citazioni da The Game di Alessandro Baricco
“Non si capisce nulla della rivoluzione digitale se non si ricorda che i nonni di quelli che iniziarono avevano combattuto una guerra un cui milioni di uomini erano morti per difendere la fissità di un confine o nel tentativo di spostarlo di qualche chilometro, alle volte di qualche centinaio di metri. Pochi anni dopo, l’isolamento cieco delle élite, l’immobilismo culturale dei popoli e il ristagno piombato delle informazioni avevano portato i loro padri a vivere in un un mondo in cui si poteva fare Auschwitz senza che nessuno lo sapesse, e sganciare una bomba atomica senza che la riflessione sull’opportunità di farlo riguardasse più di una manciata di persone. Loro stessi, crescendo, erano andati a scuola, ogni mattina, in un mondo diviso in due da una cortina di ferro e inchiodato a sé stesso dal pericolo di un apocalisse nucleare, peraltro gestita in stanze inaccessibili da un’élite blindata nel suo isolamento di casta. Tutto questo non accadeva in un mondo ancora calato nella barbarie di una pre-civilizzazione, ma, al contrario, in un angolo di mondo, l’Occidente, in cui una civiltà apparentemente sublime tramandava da secoli l’arte di coltivare ideali e valori altissimi: la tragedia era che tutto quel disastro non sembrava tanto il risultato imprevisto di un passaggio a vuoto di quella civiltà, quanto il prodotto coerente e inevitabile dei suoi principî, della sua razionalità, del suo modo di stare al mondo.”
“Era il paradossale patrimonio che una civiltà apparentemente raffinatissima stava per passare ai suoi eredi: il privilegio di una fine tragica.”
“Il modo migliore per disfarsi di un sacerdote è mettere tutti in grado di compiere miracoli.”
“Molte persone provano a cambiare la natura degli umani, ma è davvero una perdita di tempo. Non puoi cambiare la natura degli umani; quello che puoi fare è cambiare gli strumenti che usano, cambiare le tecniche. Allora, cambierai la civiltà.”
“La distinzione tra profeti e coglioni è diventata visibile solo a occhi molto freddi e allenati.”
“L’individualismo è sempre, per definizione, una postura contro: è sedimento di una ribellione, ha la pretesa di generare un’anomalia, rifiuta di camminare nel gregge e cammina in solitudine in controsenso. Ma quando milioni di persone si mettono a camminare in controsenso, qual è il senso giusto della strada?”
“Senza il riverbero di un qualche infinito, qualsiasi realtà suona un po’ sorda.”
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