28 Dicembre 1980
Un’improvvisa perquisizione delle celle vanifica l’imminente evasione dei brigatisti dal supercarcere di Trani.
Viene diffuso dalle Brigate Rosse il comunicato n°5 sul sequestro D’Urso.
Una improvvisa perquisizione delle celle -probabilmente originata da una “soffiata” – vanifica l’imminente evasione dei terroristi del supercarcere di Trani. I brigatisti detenuti sono costretti a ripiegare su una frettolosa rivolta, durante la quale prendono in ostaggio 19 guardie carcerarie.
Poi diffondono un lungo comunicato nel quale dettano «le condizioni che poniamo per liberare D’Urso e gli agenti di custodia che sono nostri prigionieri»: l’immediata chiusura dell’Asinara, la fine del circuito carcerario “speciale”, modifiche ai rigori del regolamento carcerario, e infine «la pubblicazione integrale di questo comunicato sui seguenti quotidiani: “La Stampa”, “La Repubblica”, “Corriere della Sera”, “Il Messaggero”, “La Nuova Sardegna”, “Il
Tempo”, “Lotta continua”».
Il comunicato dei terroristi detenuti si chiude con un monito: «Ribadiamo che le sorti di D’Urso e degli agenti di custodia che sono nostri prigionieri sono strettamente vincolati all’accoglimento di queste richieste… Ogni vostra mossa avventata pregiudicherebbe ogni possibilità di trattativa e metterebbe a repentaglio la stessa vita dei prigionieri».
Le Br diffondono il comunicato n. 5, dal contenuto interlocutorio e tutto incentrato sulla chiusura del carcere dell’Asinara. I terroristi si dicono diffidenti («Le ipocrisie e le ridicole mistificazioni con cui si vuole inzuccherare il rospo che la lotta delle forze rivoluzionarie costringe la borghesia a ingoiare non ci riguardano»), e vogliono che all’annuncio del governo seguano i fatti concreti: «Siamo inguaribilmente materialisti e ci interessano solo le cose concrete; e l’unica cosa concreta che riguarda l’Asinara è: la sua chiusura immediata e definitiva».
Il brigatista Buzzati commenta così:
«Apprendemmo dalla televisione della rivolta di Trani. Eravamo io e i due fratelli Petrella. Io e Marina ne fummo contenti. Stefano invece andò in bestia, affermando che avrebbe dovuto essere un’evasione. A mia richiesta di spiegazioni, mi chiarì che l’organizzazione aveva fatto entrare nel carcere esplosivo, e aveva predisposto poi dei depositi di armi e delle macchine nelle vicinanze. Gli stessi detenuti avevano preso contatti, all’interno del carcere, con malavitosi del posto, che li avrebbero ospitati nell’immediatezza dell’evasione. L’operazione di Trani era prospettata in concomitanza con quella di D’Urso. La stessa sera, o l’indomani, arrivò a casa Senzani, e Petrella gli chiese come mai l’evasione si era trasformata in rivolta. Senzani rispose: “Domenica mattina gli hanno fatto una perquisizione e gli stavano per trovare la roba [gli esplosivi, ndr]. Sicché erano stati costretti ad anticipare i tempi, limitandosi a una rivolta”… Ho saputo dopo da Di Rocco che egli era stato mandato a Trani per noleggiare, con un documento falso, delle autovetture che sarebbero servite alla evasione e forse anche per il trasporto delle armi. Ci fu in seguito la repressione di questa rivolta. Io commentai questa rivolta come un errore tattico, cioè sul piano militare e anche strategico, perché non aveva alcuna incidenza sul carcerario. Petrella e Senzani asserivano che essa comunque rappresentava una vittoria per l’effetto di mobilitazione che essa aveva avuto sul proletariato prigioniero. Aggiungevano che se noi non avessimo avuto nelle mani D’Urso, la repressione si sarebbe trasformata in una strage […]».
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