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LibriRadici
Home›Radici›Libri›La luna e i falò – Recensione

La luna e i falò – Recensione

By zorba
24 Maggio 2016
4525
3
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La luna e i falò

La luna e i falò è un romanzo di Cesare Pavese pubblicato da Einaudi nel 1950; questa edizione è del 2003.

Informazioni su 'La luna e i falò'
Titolo: La luna e i falò
Autore: Cesare Pavese
ISBN: 9788806155469
Genere: Narrativa
Casa Editrice: Einaudi
Data di pubblicazione: 2003-01-01
Formato: Paperback
Pagine: 208
Goodreads
Anobii

LaLunaEIFalòAnguilla, un ex orfano che ha fatto fortuna in America, ritorna al suo paese d’origine nella provincia di Cuneo (mai citato direttamente, è Santo Stefano Belbo) dopo la liberazione dal nazifascismo.
Si trova nello stesso paese, con più o meno le stesse facce, ma lo trova profondamente mutato nell’essenza. Lo trova nella fame, le persone che hanno combattuto con i partigiani (tra cui il suo amico di infanzia Nuto) cambiate e quelle che invece passavano informazioni ai fascisti e ai tedeschi scomparse. Anche lui è cambiato, ma per tutt’altre cause: dopo aver lavorato tanto ed essere emigrato in America ha trovato la fortuna ed ora torna al suo paese da ricco, come vincitore.

Il romanzo non segue una trama vera e propria, si perde spesso tra i ricordi non in ordine cronologico del protagonista, di cui conosciamo soltanto il soprannome, Anguilla. In questo disordine ci sembra di partecipare alla confusione del protagonista, che da piccolo credeva che il piccolo paese al di là dei campi dove lavorava fosse il mondo e che, dopo aver visitato davvero il resto del globo, trova invece una piccola realtà di gente scossa che ancora non si è ripresa dalla guerra e che si affanna per superare un conflitto che li ha visti forse vincitori, ma che ancora non se ne sono resi conto.

Citazioni da “La luna e i falò”

“Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione”.

“Da ragazzo, quando la Virgilia ci portava a messa, credevo che la voce del prete fosse qualcosa come il tuono, come il cielo, come le stagioni – che servisse alle campagne, ai raccolti, alla salute dei vivi e dei morti. Adesso mi accorsi che i morti servivano a lui. Non bisogna invecchiare né conoscere il mondo. Trattandosi di morti, sia pure neri, sia pur ben morti, non poteva fare altro. Coi morti i preti hanno sempre ragione. Io lo sapevo, e lo sapeva anche lui”.

“Il brutto – disse Nuto – è che siamo degli ignoranti. Il paese è tutto in mano a quel prete. Dal giorno della Liberazione – quel sospirato 25 Aprile – tutto era andato sempre peggio. In quei giorni sì che s’era fatto qualcosa. Se anche i mezzadri e i miserabili del paese non andavano loro per il mondo, nell’anno della guerra era venuto il mondo a svegliarli. C’era stata gente di tutte le parti, meridionali, toscani, cittadini, studenti, sfollati, operai – perfino i tedeschi, perfino i fascisti eran serviti a qualcosa, avevano aperto gli occhi ai più tonti, costretto tutti a mostrarsi per quello che erano, io di qua tu di là, tu per sfruttare il contadino, io perché abbiate un avvenire anche voi. E i renitenti, gli sbandati, avevano fatto vedere al governo dei signori che non basta la voglia per mettersi in guerra. Si capisce, in tutto quel quarantotto s’era fatto anche del male, s’era rubato e ammazzato senza motivo, ma mica tanti: sempre meno – disse Nuto – della gente che i prepotenti di prima hanno messo loro su una strada o fatto crepare. E poi? Com’era andata? Si era smesso di stare all’erta, si era creduto agli alleati, si era creduto ai prepotenti di prima che adesso – passata la grandine – sbucavano fuori dalle cantine, dalle ville dalle parrocchie, dai conventi.”

“Per strada gli chiesi se era proprio convinto che fosse la miseria a imbestialire la gente.
– Non hai mai letto sul giornale di quei milionari che si drogano e si sparano? Ci sono dei vizi che costano soldi…
Lui mi rispose che ecco, sono i soldi, sempre i soldi: averli o non averli, fin che esistono loro non si salva nessuno”.

“Cominciai a capire che non si parla solamente per parlare, per dire “ho fatto questo” “ho fatto quello” ho mangiato e bevuto”, ma si parla per farsi un’idea, per capire come va questo mondo”.

“Sono soltanto i cani che abbaiano e saltano addosso ai cani forestieri e che il padrone aizza un cane per interesse, per restare padrone, me se i cani non fossero bestie si metterebbero d’accordo e abbaierebbero addosso al padrone”.

Trama
7
Scrittura
7
Contenuto
8
7.3
Un romanzo che non parla di Resistenza, ma del dolore e delle ferite profonde che la guerra civile ha lasciato in Italia. Non è Il sentiero dei nidi di ragno, ma è uno dei migliori romanzi di Pavese e della letteratura italiana del secondo dopoguerra.
Reader Rating: (1 Rate)
7.5
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  1. Recensione di Rosso nella notte bianca - Aforismi di un pazzo 26 Luglio, 2016 at 18:38 Accedi per rispondere

    […] romanzo che appartiene al filone di cui fanno parte anche “La luna e i falò” e “Il sentieri dei nidi di ragno“, in cui ci viene presentata la resistenza […]

  2. zorba 27 Luglio, 2016 at 11:12 Accedi per rispondere

    Visitor Rating: 3 Stars

  3. Citazioni di Cesare Pavese su Aforismi di un pazzo: "Sono soltanto i cani... 20 Febbraio, 2019 at 12:45 Accedi per rispondere

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