Un indovino mi disse
Un indovino mi disse è un libro scritto dal giornalista e scrittore italiano Tiziano Terzani e pubblicato da RL Libri nel 1995.
Nel 1976, un indovino di Hong Kong intima a Terzani di non prendere aerei nel 1993 perché avrà grandi possibilità di morire in un incidente aereo.
Memore di questo, nell’anno fatidico 1993 Terzani, più per gioco che per paura, decide di passare l’anno senza volare, ma spostandosi solo via terra mediante macchine, risciò, autobus, treni e navi.
Ottenuto il permesso dal giornale per cui lavora (Der Spiegel), comincia l’incredibile viaggio che lo porterà dal Laos (Capodanno 1993) fino a Firenze per le feste natalizie con i suoi parenti passando per Tailandia, Birmania, Singapore, Mongolia, Vietnam…
Un incredibile viaggio fatto di cultura asiatica, di storie di gente comune e di aneddoti storici che lasciano a bocca aperta perché raccontati da un uomo che li ha visti in prima persona.
Questo libro è un libro incredibile. O almeno lo è per me, che non so praticamente nulla dell’Asia se non i sentito dire. Ma sentirselo raccontare da un uomo che è stato quasi fucilato dai Khmer Rossi, che è stato testimone della Guerra in Vietnam e che ha vissuto in quei luoghi per quasi trent’anni è impagabile.
Citazioni da “Un indovino mi disse”
“E’ un aspetto, questo, dello strano mestiere di cronista che non cessa di affascinarmi e, al tempo stesso, di inquietarmi: i fatti non registrati non esistono. Quanti massacri, quanti terremoti avvengono nel mondo, quante navi affondano, quanti vulcani esplodono e quanta, quanta gente viene perseguitata, torturata e uccisa! Eppure, se non c’è qualcuno che raccoglie una testimonianza, che ne scrive, qualcuno che fa una foto, che ne lascia traccia in un libro, è come se quei fatti non fossero mai avvenuti! Sofferenze senza conseguenza, senza storia. Perché la storia esiste solo se qualcuno la racconta”.
“Diventare ricco davvero non mi interessa. A essere ricchi si finisce sempre per dover stare con altri ricchi e i ricchi – l’ho scoperto da tempo – sono noiosi. A essere ricchi bisogna preoccuparsi di non perdere la ricchezza e quella preoccupazione me la vorrei risparmiare”.
“Morire là dove sono morti i propri genitori, i propri nonni, là dove nasceranno i propri nipoti è come morire di meno”.
“E’ davvero strano il sistema economico da cui ci si aspetta oggi la salvezza del mondo! Nessuno fabbrica più nulla con le proprie mani, nessuno si ingegna più a fare la pentola, uno zufolo o a inventare un carretto; l’idea più brillante che si possa avere è quella di andare in qualche parte della terra a comprare qualcosa da rivendere altrove, con profitto”.
“La memoria per le dittature è sempre una cosa terribilmente pericolosa”.
“Fino alla mia età si è fatto il proprio dovere, si è pagato il debito alla conservazione della società, mettendo al mondo figli, lavorando.Si è giocato il ruolo che si è scelto o che ci è stato assegnato. Ci si è comportati come si deve, si è fatta la proprio figura e ora, finalmente, si è liberi. Liberi non certo di andare in pensione. La pensione, intesa come lo stadio della vita in cui si è pagati per non far nulla? Anche quello, che fraintendimento! Di nuovo un’interpretazione tutta materialistica della vecchiaia! La pensione è bella per quelli che hanno da andare a dipingere, a pescare, a scalare le montagne o devono scrivere romanzi. Per me questo andare avanti nell’età significa solo diventare più franco, disinvolto, poter dire sempre di più quello che penso, occuparmi di quel che credo sia importante, anche se non pare così agli altri.”
“Ora si può finalmente essere liberi come da giovani non è permesso essere. Ora si può vivere fuori dagli schemi, fuori dalle regole che mantengono la società. E’ solo alla mia età che ci si può permettere la pazzia di essere presi per pazzi.”
“Ogni popolo sembra avere un proprio mito della creazione e del modo in cui l’uomo venne al mondo. Nordin raccontò la versione dei Batak: un giorno le scimmie si resero conto che sugli alberi non ci stavano più. Avevano fatto tanti e poi tanti figli che tutte le piante della foresta erano sempre affollatissime e nessuno poteva fare più l’altalena, correre o saltare da un ramo all’altro. Fu deciso allora che metà delle scimmie scendesse a terra. Bene, quelli furono i nostri antenati? Una bella versione della Genesi, mi parve. Ma noi dove manderemo metà degli uomini quando finalmente ci accorgeremo che anche le condizioni di vita a terra sono diventate come quelle delle scimmie sugli alberi?”
“Ogni posto è una miniera. Basta lasciarcisi andare. Darsi tempo, stare seduti in una casa da tè a osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l’amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente la dove si è: basta scavare.”
“Se nel palmo di una mano c’è un segno che indica una malattia a diciotto anni e la possibilità di un infarto a cinquantadue, cosa doveva esserci nelle mani dei due milioni di cambogiani che il 17 Aprile 1975 videro il loro mondo finire? Le fosse comuni della Cambogia erano piene di gente predestinata a finire li. Se nessuno aveva saputo leggere quel loro futuro, allora voleva dire che chiunque pretende di saperlo fare è un impostore; voleva dire che il futuro non è nella mano di nessuno, non è nelle stelle. Voleva dire che il destino non esiste.”
“<<Perchè non hai preso l’aereo?>> Già, perché? Forse anche per riscoprire che il mondo è un complicato mosaico di paesi, ciascuno con le sue frontiere da varcare; forse per riaccorgermi che la terra non è una massa monocolore punteggiata di aeroporti, come appare nelle carte delle linee aeree; o forse semplicemente per riprovare l’emozione di varcare, fisicamente a piedi, e non per aria, una vera frontiera come quella.”
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