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Brigate Rosse
Home›L'alba dei funerali di uno Stato›Brigate Rosse›28 Giugno 1973

28 Giugno 1973

By zorba
23 Giugno 1973
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Le Brigate Rosse rapiscono l’ingegner Michele Mincuzzi, dirigente tecnico dell’Alfa Romeo iscritto all’UCID.

Michele Mincuzzi è originario di Bari ma vive al nord da molto tempo. Ha 56 anni, è sposato e ha due figli.

Da tempo all’Alfa Romeo sono in corso lunghe e non facili trattative sindacali. Il 28 Giugno è proprio il giorno dopo la fine della soluzione della vertenza.

Alle 19:30 l’ingegnere lascia lo stabilimento e sale sulla sua Alfetta. Mezz’ora di strada e sarà a casa, in via Ruffini 8. Gli aggressori lo aspettano sotto l’abitazione, sanno che il momento più favorevole è quando l’uomo scende dall’auto per aprire il cancello del box.

Quando infila la chiave nella serratura qualcuno alle spalle gli chiede un’informazione. Si volta, ha appena il tempo di di intravedere il volto di un uomo a meno di un metro. Scorge altri due con un passamontagna rossa che si avvicinano. Pensa a una rapina, ha lo stipendio in tasca. Tenta di reagire, ma viene colpito al naso, che si frattura.

I tre gli mettono un cappuccio in testa e se ne vanno con un furgone 850 targato MI 902338, targa presa da almeno tre testimoni.

Viene portato in un covo e interrogato dalle 21:30.

Di quella strana udienza Mincuzzi dirà:

Non lo chiamerei un processo. È stata più che altro una discussione abbastanza pacata. I miei rapitori esponevano le loro teorie sulla società, ma mi permettevano di controbattere.

Mario Moretti, armato e mascherato, fa parte del commando che lo rapisce.

Le modalità dell’azione sono le solite: l’ingegnere viene aggredito, caricato su un furgone (legato mani e piedi, imbavagliato e incappucciato) e condotto in un covo, dove viene interrogato; quindi, di nuovo incatenato e imbavagliato, viene abbandonato sul bordo di una strada con un cartello appeso al collo, in un campo a poche decine di metri dallo stabilimento dell’Alfa Romeo di Arese:

Mincuzzi Michele dirigente fascista dell’Alfa Romeo, processato dalle Brigate rosse. Niente resterà impunito. Colpiscine uno per educarne cento. Tutto il potere al popolo armato. Per il comunismo.

Ma diversamente dal solito, sul cartello il simbolo brigatista – la stella cerchiata – non è a cinque punte, ma a sei: è cioè la stella israelita di David.

Il responsabile dell’errore grafico è proprio Mario Moretti.

Alberto Franceschini dirà:

“Lui era incaricato di preparare il cartello per la foto di rivendicazione, e invece del nostro simbolo disegnò la stella di Davide… Disse che si era sbagliato, ma io oggi mi domando se non fosse un messaggio per qualcuno.”

Per pura combinazione, poco tempo dopo il servizio segreto di Israele, il Mossad, prende contatti con le BR.

Scriverà Franceschini:

“Gli uomini dei servizi segreti di Tel Aviv, come prova della loro affidabilità, ci avevano dato l’indirizzo di Friburgo dove si era nascosto Pisetta dopo le sue soffiate, e i nomi di alcuni operai della Fiat che, per conto dei Servizi italiani, stavano cercando di infiltrarsi al nostro interno. Volevano fornirci armi e munizioni moderne senza chiedere una lira in cambio: avremmo solo dovuto continuare a fare quello che stavamo facendo, a loro interessava che i Paesi mediterranei come l’Italia, [in buoni] rapporti con i palestinesi, continuassero a vivere in una situazione di instabilità al loro interno. Non fu necessaria una lunga discussione tra noi, eravamo tutti d’accordo: niente armi dagli israeliani, anche se le notizie che ci avevano fornito erano assolutamente esatte e ci furono utili. Stavamo per far entrare in una brigata della Fiat un falso compagno pagato dai carabinieri.”

Tra le schede individuali “requisite” nel raid all’UCID, c’è anche quella dell’ingegnere Michele Mincuzzi, un dirigente dell’Alfa specializzato in organizzazione del lavoro. Informazione che viene utilizzata dalle BR, che lo sequestrano pochi mesi dopo, esattamente il 28 giugno: un’azione strettamente collegata con l’attacco alla sede degli imprenditori cattolici e inquadrata nella lotta contro «il fascismo in camicia bianca».

Accanto a Mincuzzi i brigatisti lasciano anche un comunicato che spiega le ragioni di quell’azione. Tornato libero, Mincuzzi viene sequestrato dalla stampa: gli si vuole estorcere un giudizio negativo sulle BR ma, soprattutto, fargli confermare che i brigatisti sono fascisti mascherati da rossi. Il «Corriere della Sera» gli domanda se sia possibile che i discorsi del “giudice” mascherino posizioni di destra. «Se è così», rispondeMincuzzi, «il mio interlocutore non si è mai tradito». Il «Corriere» commenta: «Ora a Milano abbiamo anche un Tribunale volante che sequestra e giudica. Un Tribunale di cui non si sa nulla e che domani potrebbe ricomparire e imporre le sue leggi di violenza». Si tratta di un «ennesimo episodio di violenza inserito nell’atmosfera tesa di una città turbata» che è servito «per montare le tensioni d questi giorni. La condanna perciò non ammette alcuna differenziazione, sia che gli esecutori appartengano alle frange di sinistra, sia che vengano invece dalla parte opposta». «Indaghiamo in tutte le direzioni», dichiara il magistrato D’Alessio, «in particolare sulle BR e sui Giustizieri d’Italia». La stessa tesi degli opposti estremismi viene ripresa dall’«Avanti!», che la integra con la teoria della criminalizzazione della politica. Dure condanne arrivano anche da parte dei sindacati e dell’Associazione Lombarda Dirigenti Aziende Industriali (ALDAI), mentre la federazione milanese CGL-CSL-UIL condanna gli «organizzatori dell’incivile e banditesco atto» e per il PCI si tratta di una «banditesca organizzazione che agisce con metodi delinquenziali, il cui scopo è quello di alimentare la strategia della tensione».

Testo del comunicato del Sequestro Mincuzzi

Giovedì 28 Giugno 1973 alle ore 20 un nucleo armato delle Brigate Rosse ha prelevato, interrogato e processato Mincuzzi Michele, dirigente dell’Alfa Romeo. Per capire chi effettivamente sia costui, iniziamo con alcune delle sue frasi celebri: «L’appiattimento delle categorie è contro natura», «l’equalitarismo è disumano». Queste frasi sono il perno dell’impostazione politica dei corsi di addestramento per dirigenti intermedi che tiene periodicamente in fabbrica. Mincuzzi non si accontenta di essere un maestro degli aguzzini che ci impongono i ritmi e i tempi infernali ai quali siamo sottoposti all’Alfa Romeo, ma impartisce i suoi insegnamenti fascisti anche  ai dirigenti di altre fabbriche, tenendo corsi all’UCID (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti).

In fabbrica è uno dei massimi responsabili della direzione della produzione (Dipro), ed è lui che dirige l’organizzazione dei tempi e dei ritmi delle linee. È sempre lui che decide e controlla i passaggi di categoria. Per le sue «alte qualità» è ritenuto dall’Alfa Romeo un «esperto» nelle questioni sindacali e ne rappresenta gli interessi nelle vertenze e nelle contrattazioni. Siamo in molti a ricordare la sua attiva collaborazione al controsciopero dei dirigenti per il «diritto al lavoro» e contro la «violenza» che ci ha fatto finalmente conoscere chi sono realmente i nostri padroni di stato. E c’è da credere ai suoi sentimenti «contro ogni violenza» visto che il 2-12-1971 non ha esitato un attimo a sfondare con la propria auto un picchetto, in accordo con la polizia che successivamente ha caricato gli operai.

[…]

Anche più recentemente Mincuzzi si è distinto nelle manovre che la direzione ha posto in atto contro l’autonomia operaia e le sue manifestazioni di lotta, come i cortei interni, gli scioperi a scacchiera, ecc. L’ultimo fatto, poi, (1.000 operai sospesi in seguito allo sciopero della verniciatura), dimostra che i nostri padroni di stato hanno intenzione di essere all’avanguardia della repressione antioperaia. Mincuzzi è dunque un gerarca in camicia bianca, è della stirpe dei Macchiarini e dei tanti altri che nelle fabbriche private e statali cercano di far pagare la crisi agli operai usando gli strumenti del ricatto, del caro vita, del terrorismo, della provocazione, in una parola della violenza anti-operaia.

[…]

Il gerarca Mincuzzi ha molti soci dentro e fuori la fabbrica. Uno di questi è Pierani Luigi, della direzione del personale, che pur agendo nell’ombra, è tra i più accaniti esecutori della repressione padronale. Sul suo conto c’è un lungo elenco di pesanti colpe ultima tra le quali, quella di aver architettato l’affare Calandra. Diamo a Calandra, elemento debole e corruttibile, quel che è di Calandra,  senza giustificazione alcuna, ma ai dirigenti che hanno progettato la sporca macchinazione, giocando cinicamente sulle sue condizioni materiali e familiari, non esitando a farlo arrestare e licenziare per poi comprarlo, la parte che gli spetta. Pierani, a quanto pare, è talmente cosciente della sua funzione che si fa scortare dal «gorilla» di turno che gli passa la questura e fa tenere costantemente sotto controllo la sua abitazione da un paio di auto civetta. Pierani non ha capito una cosa, che se i padroni hanno la memoria lunga, i proletari hanno una pazienza smisurata, e che alla fine niente resterà impunito.

[…]

Compagni, rafforziamo in ogni reparto della fabbrica gli strumenti del nostro potere. Impariamo a conoscere ad uno ad uno i nostri nemici, a controllarli e a punirli ogni qualvolta si rendano direttamente responsabili di iniziative anti-operaie. Le politiche terroristiche dei padroni camminano con piedi ben definiti e sono quelli dei nostri dirigenti, dei nostri capi e dei loro servi fascisti. Il pesce puzza dalla testa, ma a squamarlo si comincia dalla coda. Questa è la premessa per andare avanti sulla strada aperta con le lotte del ’69-73 per sviluppare i temi della guerra all’organizzazione capitalistica del lavoro e della resistenza alla ristrutturazione antioperaia, per consentire al movimento di massa di avanzare nella lotta per una società comunista. Lotta armata per il comunismo.

Per qualche tempo Mincuzzi rimane in mezzo al prato, non lontano dalla strada deserta. Soltanto alle 23:30 lo scorge l’autista di un pullman. Mincuzzi è medicato all’infermeria dello stabilimento Alfa, poi è condotto all’ospedale San Carlo di Milano.

Stavolta l’azione ottiene un considerevole successo. Il «Corriere della Sera» dedica al fatto un titolo a quattro colonne in prima pagina:

Rapito a Milano e ritrovato un dirigente dell’Alfa Romeo

Tornando alle reazioni sul sequestro Mincuzzi, «il Manifesto» tace. Non così Avanguardia Operaia, che non ha alcun dubbio che si tratti di una provocazione messa in atto da agenti della strategia della tensione. Condanna anche da parte di «Lotta Continua», che fornisce tuttavia un giudizio più articolato e meditato. L’unico a dare il pieno appoggio alle BR è «Potere Operaio»: Si è colpito con l’intera organizzazione di fabbrica titola un articolo a tutta pagina. Per POTOP le serrate discussioni fatte tra compagni confermano che l’iniziativa armata è attuale. L’organo di Potere Operaio apre poi una polemica violenta e dai toni sprezzanti con Lotta Continua, cui rimprovera l’essersi allineata a «il manifesto». Il voltafaccia viene evidenziato dalla riproduzione fotografica su una pagina di «Potere Operaio» del lunedì di due articoli di LC, messi in contrapposizione e illustranti il primo il sequestro Macchiarini, il secondo il rapimento Mincuzzi. L’articolo di LC su Mincuzzi, intitolato Frutti di stagione viene da POTOP parafrasato in Opportunismi di stagione. Ma la voce di POTOP è debole e isolata. Il concentrarsi della repressione statale su questo gruppo, violentissima dopo l’incendio di Primavalle13 (che ha ucciso due figli di un missino) in cui sono coinvolti alcuni suoi appartenenti, unitamente a una singolare forma di scomunica da parte di LC (il rifiuto quasi sistematico di partecipare a manifestazioni, assemblee, firmare volantini insieme a POTOP) danno a questo gruppo il colpo di grazia: molti militanti di POTOP confluiscono nelle fila dell’autonomia operaia, e la sigla Potere Operaio scompare quasi del tutto.

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Da “La notte della Repubblica: la nascita delle Brigate Rosse”

Testi

  • Sergio Flamigni, La sfinge delle Brigate Rosse. Delitti, segreti e bugie del capo terrorista Mario Moretti.
  • Vincenzo Tessandori. BR Imputazione: banda armata. Cronaca e documenti delle Brigate Rosse.
  • Pino Casamassima, Il libro nero delle Brigate Rosse
TagsAlberto FranceschiniBRmario morettiMichele MincuzziMOSSADUCID
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