Recensione di Altai di Wu Ming

Altai è un romanzo del collettivo Wu Ming, pubblicato da Einaudi Stile Libero nel 2009.
È un romanzo ambientato nel Mediterraneo negli anni successivi alle vicende di “Q”, celebre romanzo di Luther Blisset, il precedente nome del collettivo.
È il 1569, e l’Arsenale di Venezia sta bruciando. Emanuele De Zante indaga sui colpevoli, su incarico del consiglio di Venezia, ma le sue conclusioni non piacciono ai governanti della Serenissima, che vogliono che il colpevole sia designato nell’ebreo alla corte del sultano ottomano, Giuseppe Nasi, storico nemico della Repubblica. Allora il colpevole diventa lo stesso De Zante, alias Manuel Cardoso, ebreo convertito. L’uomo riesce a fuggire, prima nel Delta del Po, poi alla sua città natale, Ragusa (Dubrovinik). Qui viene catturato da emissari di Giuseppe Nasi, che lo condurranno a Istanbul. De Zante si troverà allora faccia a faccia con le origini che ha fuggito, lavorando proprio per quello che era il suo storico nemico.
Nonostante fosse stato ribadito a più riprese, “Altai” non è un seguito di Q. Ambientato soltanto cinque anni dopo le vicende del più celebre romanzo del collettivo, Altai è un romanzo bellissimo, ambientato in una delle città più misteriose del Mediterraneo (Istanbul) e con una trama avvincente e credibile.
La forza del collettivo spesso credo sia proprio questa: dipingere un contesto storico assolutamente credibile nel quale inserire personaggi cangianti che si evolvono di pari passi con la trama, e spesso appartenenti a gruppi sociali emarginati e perseguitati.
Si parla quindi di lotte, di ricerca di riscatto, di ritorno alle origini e a una sorta di “purezza”. Il tutto con una scrittura fluida ed avvincente.
Citazioni da “Altai”
“La tortura è inutile quando si cerca la verità”
“La fuga era una crisalide, ma il bruco non diveniva farfalla: soltanto un altro bruco”
“La differenza tra il sonno del giusto e quello dello stolto è che lo stolto non si alza più”
“Machiavelli ha scritto che bisogna guardare il fine, non i mezzi. […] Con gli anni, ho invece imparato che i mezzi cambiano il fine”
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