Recensione di Lo straniero di Albert Camus su Aforismi di un pazzo
Lo straniero è un romanzo di Albert Camus pubblicato da Bompiani nel 1947. Questa edizione è del 2000.
Meursault è impiegato in un’azienda ad Algeri, anche se è di origine francese. Affronta la vita con indifferenza, e nemmeno la morte della madre all’inizio della narrazione sembra scuoterlo. Va alla casa di riposo dove la madre era ricoverata ma non vuole vederne la salma, come se non gli importasse. Beve e fuma durante la veglia, e il giorno dopo il funerale incontra una ragazza (sua ex collega di ufficio) comincia con lei una relazione, che non sembra però dargli nessuna emozione se non la voglia di fare sesso con lei. Conosce anche il suo vicino di casa, Raimondo Syntes, che dice di fare il magazziniere e invece è uno sfruttatore di donne, che un giorno lo invita al mare da un amico. Qui Meursault si trova ad uccidere un arabo in maniera totalmente indifferente, senza sapere nemmeno bene il perché. Affronterà un processo, e le sue colpe saranno più la sua indifferenza e la sua mancanza di morale che l’omicidio in sé.
E’ il primo romanzo di Camus, ma viene inserito nei migliori 100 libri dalla rivista Le Monde. Il romanzo è ben scritto e piacevole, il personaggio è interessante e coinvolgente; nonostante la sua mancanza di morale comune (e come doveva sembrare immorale un personaggio del genere negli anni Cinquanta, soprattutto in Italia) ci si trova a simpatizzare con lui. L’unica pecca una trama non proprio coinvolgente: tra questo e “La peste” altro suo capolavoro, il secondo è ancora un gradino sopra.
Citazioni da “Lo straniero”
“Al principio della detenzione, comunque, la cosa più dura è stata che avevo dei pensieri di uomo libero”.
“Non sapevo, prima, fino a qual punto i giorni possono essere lunghi e corti allo stesso tempo. Lunghi a vivere, senza dubbio, ma talmente distesi che finiscono per traboccare gli uni sugli altri”.
“Nell’oscurità della mia prigione semovente ho ritrovato a uno a uno, come dal fondo della mia stanchezza, tutti i rumori familiari di una città che amavo e di una certa ora in cui avveniva di sentirmi contento. Il grido dei giornalai nell’aria già calma, gli ultimi uccelli nel piazzale, il richiamo dei venditori di sandwiches, il lamento dei tram nelle svolte delle vie alte, quella sonorità del cielo prima che la notte si appesantisca sul porto, tutto questo ricomponeva per me un itinerario da cieco, che conoscevo bene prima di entrare in prigione. Sì, era quella l’ora in cui, tanto tempo fa, mi sentivo contento. Quello che mi aspettava, allora, era sempre un sonno leggero e senza sogni. Eppure qualcosa era cambiato perché con l’attesa dell’indomani era la mia cella che ritrovavo. Come se le vie familiari tracciate nei cieli d’estate potessero condurre tanto alle prigioni che ai sonni innocenti”.
“Non c’è idea cui non si finisca per far l’abitudine”.
“Davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio”.
[…] Albert Camus, Lo straniero […]