12 Dicembre 1969
Strage di Piazza Fontana
Alle ore 16:37 una bomba scoppia nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano, uccidendo diciassette persone (quattordici sul colpo) e ferendone altre ottantotto.
È l’inizio di quella che verrà definita “strategia della tensione”: suscitare e fomentare – mediante stragi, delitti, provocazioni, scontri fra “opposti estremismi” (extrasinistra sovversiva, e ultradestra eversiva) – allarme e paura sociale, in modo da fermare le lotte sindacali e l’avanzata elettorale del Partito comunista riportando al centro gli equilibri politici. È la tecnica della “guerra psicologica”, sintetizzata nell’assunto «Destabilizzare per stabilizzare».
La regia della strategia della tensione è di matrice atlantica, la gestione è affidata alle forze anticomuniste, e l’attuazione si avvale di precisi segmenti degli apparati di sicurezza.
Nove anni dopo, dalla prigione brigatista, Aldo Moro scriverà:
“La cosiddetta strategia della tensione ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l’Italia nei binari della “normalità” dopo le vicende del ’68 ed il cosiddetto autunno caldo. Si può presumere che Paesi associati a vario titolo alla nostra politica e quindi interessati a un certo indirizzo vi fossero in qualche modo impegnati attraverso i loro servizi d’informazioni”.
Nei primi attimi dopo l’attentato non ci si rende conto della reale natura della deflagrazione, tant’è che si diffonde la notizia non dello scoppio di una bomba, bensì quella dell’esplosione della caldaia della banca stessa.
Le successive esplosioni e i segni evidenti dello scoppio di un ordigno tuttavia smentiscono quasi subito le prime voci circolate e mettono i milanesi e il resto del Paese davanti alla tragica realtà dei fatti.
L’ordigno era stato collocato in modo da provocare il massimo numero di vittime: sotto il tavolo al centro del salone riservato alla clientela, di fronte all’emiciclo degli sportelli. La potenza dell’esplosione è testimoniata dagli effetti distruttivi sui locali devastati.
I nomi delle vittime della strage sono:
- Giovanni Arnoldi
- Giulio China
- Eugenio Corsini
- Pietro Dendena
- Carlo Gaiani
- Calogero Galatioto
- Carlo Garavaglia
- Paolo Gerli
- Luigi Meloni
- Vittorio Mocchi
- Gerolamo Papetti
- Mario Pasi
- Carlo Perego
- Oreste Sangalli
- Angelo Scaglia
- Carlo Silva
- Attilio Valè
Alla proditoria strage fascista di piazza Fontana fanno seguito pressioni americane sui vertici istituzionali per il ricorso a misure eccezionali; ma la mobilitazione unitaria dei lavoratori impedisce la proclamazione dello stato d’assedio.
La strage milanese sembra finalizzata anche a provocare il ricorso alla lotta armata da parte dell’ultrasinistra per innescare una reazione a catena. La manovra ha un parziale successo: l’editore milanese di estrema sinistra Giangiacomo Feltrinelli, convinto che le forze reazionarie stiano preparando un colpo di Stato, si dà alla clandestinità munito di un passaporto falso, e nella primavera del 1970 forma i primi nuclei armati, i Gap (Gruppi di azione partigiana), a Milano, Genova, Torino e Trento.
Nel CPM si intensificano le riunioni ristrette per decidere tempi e modi del passaggio alla clandestinità e alla lotta armata. E i servizi d’ordine delle organizzazioni extraparlamentari accentuano le loro caratteristiche paramilitari.
Renato Curcio ricorda così la strage:
«Nel Collettivo, con sede in un vecchio teatro in disuso in via Curtatone, si cantava, si faceva teatro, si tenevano mostre di grafica. Era una continua esplosione di giocosità e invenzione. Con la strage il clima improvvisamente cambiò. […]
Quel pomeriggio stavo andando a piedi nella sede, quando mi trovai circondato da poliziotti col mitra puntato: «Fermo, arrenditi». Mi portarono in questura dove mi tennero chiuso in una stanza con altri malcapitati. Avevo orecchiato vagamente dell’esplosione e dei morti.
Dopo cinque o sei ore, un funzionario mi chiamò: mi chiese se ero Curcio Renato e, senza interrogarmi, disse che potevo andare… Siamo arrivati a un livello di scontro molto aspro, ci dicemmo. Si tratta di una svolta che ci lascia aperte solo due strade: mollare tutto, oppure andare avanti, ma attrezzandoci in modo del tutto nuovo…
Verso la fine di dicembre, con una sessantina di delegati del Collettivo, ci riunimmo nella pensione Stella Maris di Chiavari. Dopo due giorni di dibattito decidemmo di trasformarci in un gruppo più centralizzato, che chiamammo “Sinistra proletaria”. E nel documento elaborato, il cosiddetto “Libretto giallo”, introducemmo per la prima volta una riflessione sull’ipotesi della lotta armata».
Siti
Testi
- Sergio Flamigni, La sfinge delle Brigate Rosse. Delitti, segreti e bugie del capo terrorista Mario Moretti.
- Pino Casamassima, Il libro nero delle Brigate Rosse
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