Recensione di L’uomo a rovescio di Fred Vargas
L’uomo a rovescio è un romanzo di Fred Vargas, il secondo della serie del Commissario Adamsberg, pubblicato da Einaudi nel 2014.
Il secondo capitolo del Commissario Adamsberg si apre senza il protagonista. Siamo sull’altopiano del Mercantour, una delle zone più selvagge di Francia, abitato da popolazioni isolate in piccoli villaggi, dalla natura selvaggia e da branchi di lupi. E da Camille Forestier, l’amore della vita del Commissario Adamsberg.
È in questi territorio che un lupo pare essere impazzito. Sbrana pecore al pascolo, da solo, e gli abitanti sono molto preoccupati, più che del danno economico proprio dello strano comportamento del lupo. Preoccupazione che aumenta ancora quando a morire è una donna.
In alcuni prende forma l’idea che a uccidere sia un lupo mannaro; un uomo completamente glabro perché i peli crescono all’interno del corpo, che quando si trasforma in lupo si rovescia, come nella più antica tradizione francese.
Il romanzo risulta più lento del precedente, non tanto per mancanze da parte di Fred Vargas ma più per una vera e propria scelta stilistica della scrittrice francese.
La lentezza del ritmo ci dà l’idea di questa natura selvaggia, immutabile e disinteressata alle tristi e inutili vicende umane. Il ritmo ha dei picchi sugli omicidi e sugli attacchi del lupo, perché forse anche le montagne cominciano ad interessarsi, perché questo assassino sembra innaturale.
Un bel romanzo, scritto molto bene e con dei personaggi molto ben caratterizzati. Forse la trama non è particolarmente avvincente, e il caso in sé è un po’ banale e con un colpevole ben definito già molto prima della conclusione.
Quello che colpisce di questi romanzi è l’umanità dei personaggi, l’indolenza del protagonista e le vicende umane dei cattivi che non sono uomini a rovescio, ma pur sempre esseri umani.